In pieno clima di tensione – inverno 2015 – uscì “Napolislam”, film-documentario di Ernesto Pagano. O meglio: l’uscita in sala era stata programmata per il 25 novembre, ma subito bloccata in seguito ai fatti di Parigi. Scelta criticatissima, ma portata avanti, evidentemente, per non saper né leggere né scrivere, ed evitare ogni tipo di eventualità sgradita.
Nonostante tutto, “Napolislam” è poi, infine, arrivato nei cinema.
Ebbene, cos’è?
Cos’è “Napolislam”?
“Napolislam” è la parte di Napoli islamizzata. Non quella degli islamici per nascita, arrivati da lontano o nati da fedeli; ma quella parte di Napoli che si è convertita.
La conversione ad un’altra religione è un argomento intimo e vastissimo, e forse una piccola fetta del cuore di ogni spettatore pulsa nel dire che non si dovrebbe mischiare la fede profonda con la divulgazione di massa. Tuttavia, il documentario, e ovviamente il regista con esso, pare rivolgersi con fiducia ad un pubblico poco superficiale, che non veda nei racconti ironici dei neo-islamici approssimative tendenze buoniste o, peggio, qualche fanatismo contagioso.
“Napolislam” è composta di personaggi concreti che hanno trovato nell’Islam la propria strada, chi autonomamente, chi persuaso dallo stile di vita di qualcun altro. E c’è chi vacilla, chi ha difficoltà, e chi ha la serenità di affrontare una vita nuova.
Colpiscono innanzitutto i dettagli più pratici: cosa penseranno tutti, quando indosserò il velo?
E le reazioni di cui assiste alla conversione: quindi non mangerai più il maiale? E la nutella?
Ma non solo di cibo e vestiario si discute: di poligamia, di vita e di morte, di lealtà e fedeltà, di dedizione e di coraggio. Un Islam che chi vive in certe grandi città, a dire il vero, non ha mai avuto dubbi che esistesse: quello quotidiano, amalgamato e inserito, benché forse di tanto in tanto diffidente o stranito.
È un film sull’Islam?
No.
È un film su alcune persone singole e specifiche di cui è raccontata la nuova vita, ben lontano da volontà di divulgazione teologica. E si racconta di giornate fatte di semplicità e di pochi scenari familiari, totalmente scollate dal terrorismo e dall’ostilità a cui questi personaggi si sentono accomunati dai media.
Non è un film che si avventura nella natura dell’Islam per illustrarla, anzi. Ci sono molti momenti in cui con approssimazione il dialogo tra islamici e cristiani viene risolto abbozzando qualche somiglianza tra le due fedi, nell’apparente tentativo di convincere entrambe le parti che va bene lo stesso, Dio, la Bibbia e il Corano, è tutto lo stesso calderone, volemose bene.
Sono invece più apprezzabili e sincere le scene in cui il vero Credo risalta con convinzione, quando ad esempio con candore un tassista dichiara che non è difficile vedere Allah: è là dov’è la verità. Quando insomma l’Islam non vuole nascondersi e appiattirsi per rendersi più accettabile in quanto molto simile al resto dei napoletani. È infatti nella sua veracità di fede radicata e profonda, espressa con la mente e con il corpo, che viene allora rispettata. Come dice un’osservatrice: ciò che è sorprendente è che lasciano tutto per andare a pregare, sempre! Non come noi che preghiamo per necessità.
D’altra parte, Napoli risplende quando si fa porto di mille genti, quando accoglie con la sua tipica aria soleggiata, piena di urla, salmastra e calda, chiunque passi di là. Quando si fa madre, crogiolo di culture e terra di dialogo.
Chiara Orefice