Tra la seconda metà del Settecento e i primi anni dell’Ottocento, emerse nella letteratura inglese un fenomeno impossibile da circoscrivere a un singolo genere letterario o ad un semplice filone tematico: si tratta di ciò che comunemente viene definito “gotico”. L’uso delle virgolette sta a significare che il termine “gotico“, pur se considerato nella sua sola accezione letteraria (escludendo quindi i significati legati alla storia e all’architettura), è tutt’altro che semplice e univoco.
Il gotico, nelle sue mille e più sfaccettature, suscita ancora oggi una grandissima fascinazione sulla letteratura, sul cinema e su ogni altra forma narrativa, come dimostrano i romanzi, i film e le serie TV che costantemente riprendono e rielaborano topoi e personaggi della tradizione. Per questo motivo iniziamo, con questa panoramica sulla poesia romantica inglese, una nuova rubrica dedicata ai più svariati componimenti convenzionalmente inquadrati nella brillante costellazione del gotico.
Indice dell'articolo
Il gotico: suggestioni di una parola
Fino al XVIII il termine “gotico” significava, nella sua accezione storica, qualsiasi cosa avesse “a che fare con i goti” (e con le altre tribù germaniche che ad essi venivano assimilate), con tutte le connotazioni ingiustamente negative che questi “barbari” evocavano. Non sorprende, quindi, che col tempo il termine fosse esteso a designare genericamente “cose medievali“. Data la mania per il mondo classico scoppiata a inizio Settecento (in Inghilterra si parla della cosiddetta Età Augustea), l’opposizione tra “classico” e “gotico” fu una naturale conseguenza. Ordine contro caos, semplicità contro esagerazione, in breve classico contro barbarico furono dunque opposizioni rilevanti alla definizione del gotico fin dalla sua nascita.
La cosa davvero rilevante, a questo punto, non è l’ampliamento nel significato della parola, ma il ribaltamento nella percezione dei valori che essa veicolava. Nella seconda metà del XVIII, infatti, si diffuse una nuova sfumatura di “barbarico” nel senso di ancestrale, arcaico e quindi contrapposto a civilizzato; alcuni testi, tra cui quelli del vescovo Hurd [1], inserivano grandi autori inglesi quali Milton e Spenser, assieme agli italiani Ariosto e Tasso, in una nuova concezione di gotico che includeva la narrazione di argomento storico e mitico. Tra la crescente popolarità della tesi di Hurd, la pubblicazione di raccolte delle ballate popolari inglesi medievali e il recupero di presunte poesie antiche (celebre l’esempio dei Canti di Ossian), i tempi erano maturi per la nascita di un vero e proprio fenomeno letterario e culturale. Tale fenomeno, lungi dall’essere relegato ai romanzi “popolari” dell’epoca, influenzò profondamente i più grandi poeti del romanticismo inglese.
Sebbene in ciascun poeta la fascinazione del gotico sia ben più ampia di quella che si può analizzare in un singolo paragrafo, ci limiteremo in questa sede a singoli aspetti particolarmente rilevanti, che hanno a che fare con la riproposizione di figure ricorrenti (come quella del fuorilegge) o con la scelta di un lessico particolarmente cupo ed evocativo.
Blake e Shelley: il gotico come ribellione
Nel caso di William Blake e Percy Bysshe Shelley, poeti diversissimi e neppure propriamente contemporanei, è possibile rintracciare un elemento comune che fa da sfondo alle loro produzioni: le potenzialità politiche del gotico. Ponendo la paura (tanto del personaggio quanto del lettore) come uno degli elementi fondamentali del gotico, in questi due poeti tale sentimento è ancorato al repressivo contesto sociale e politico del loro tempo.
Nel complesso linguaggio allusivo di Blake, il terrore deriva dall’alterazione e dalla repressione.
Egli canta di un corpo umano “spezzato” dall’eccessivo razionalismo e torturato dagli effetti negativi dell’industrializzazione. Nella complessa mitologia ideata da Blake, proprio l’industrializzazione gli fornisce lo spunto per la creazione di mostri spaventosi: uomini-macchina e “forme giganti” minacciosi e violenti, che evocano la caduta del mondo.
And Los’s Furnaces howl loud; living: self-moving lamenting with fury & despair […] [2]
Blake scrisse anche molte ballate; questo perché la ballata, genere medioevale per eccellenza (e quindi “gotico” per estensione), aveva un che di democratico, rappresentando tradizionalmente la voce del popolo in contrapposizione a quella dell’autorità.
Dal canto suo Shelley, oltre ai deu brevi romances dichiaramente gotici Zastrozzi e St Irvyne, si ispirò ampiamente ai contemporanei autori tedeschi – tra cui Schiller, autore de I Masnadieri – per riempire la sua opera di contenuto politico. Da un lato, Shelley utilizza un immaginario gotico per caricare l’atmosfera di significati negativi, scomodando anche figure di non morti e di vampiri, come nel poema incompleto The Triumph of Life:
The earth was gray with phantoms, and the air
was peopled with dim forms, as when there hovers
a flock of vampire-bats before the glare
of the tropic sun […] [3]
Sul versante delle figure tipiche, invece, egli rielabora il personaggio del ribelle (affine al fuorilegge masnadiere di Schiller) dando una giustificazione al suo operato: egli reagisce ad una società ingiustificabile perché tirannica e repressiva. Nelle sue stesse parole, il ribelle è so awful, yet so beautiful in mystery and terror. Ne è esempio il suo dramma lirico Prometheus Unbound, in cui la ritrovata libertà del titano peccatore di hybris va di pari passo con la detronizzazione del tiranno Giove.
Il fascino delle rovine in Byron e Shelley
L’affascinante fuorilegge trova un posto ancor più centrale nella produzione di Lord Byron, come nel caso del Corsaro e del Giaurro degli omonimi poemetti. Al contrario di Shelley, però, Byron era maggiormente interessato alle implicazioni estetiche della dimensione gotica: il sublime teorizzato da Burke, lo “spaventoso piacere” generato da paesaggi cupi e minacciosi, acquista nuova linfa grazie alle opere di Byron.
L’immagine delle rovine, ad esempio, evoca un passato che è al tempo stesso nostalgicamente rimpianto e irrimediabilmente lontano, come nel Childe Harold’s Pilgrimage:
But my Soul wanders; I demand it back
To meditate amongst decay, and stand
A ruin amidst ruins; there to track
Fall’n states and buried greatness […] [4]
Non che l’immagine delle rovine fosse estranea agli altri poeti romantici: tutt’altro. Lo stesso Shelley, infatti, la utilizza nel sonetto Ozymandias, che ha ancora una volta un sostrato politico – il declino di tutti gli uomini di potere e di tutti gli imperi, persino di quello costruito da Ramses II.
Nothing beside remains. Round the decay
Of that colossal wreck, boundless and bare,
The lone and level sands stretch far away. [5]
Il gotico psicologico di Coleridge
Il co-autore delle Lyrical Ballads, Samuel Taylor Coleridge, fa invece uso di un lessico e un immaginario riconducibile al gotico per scopi ancora diversi. Sembra evidente, tanto dalla celebre Rhyme of the Ancient Mariner quanto dalle liriche, che i fantasmi di Coleridge fossero sostanzialmente correlativi fantastici della sua psicologia fragile. In poche parole, la figura del condannato (come il marinaio protagonista della ballata, abbandonato da Dio per l’imperdonabile delitto contro la Natura e costretto a vagare come dimostrazione della vendetta divina) può essere letta come una concretizzazione dei suoi incubi e sensi di colpa.
Vampiri, ribelli fuorilegge e vagabondi sono figure ricorrenti nella letteratura gotica che hanno trovato nella poesia romantica appiglio e rigenerazione. In questi poeti il gotico sembra quindi essere, come sostiene David Punter, “un modo di immaginare l’inimmaginabile”: uno strumento allusivo e metaforico in grado di penetrare, pur se in modo distorto e deformante, come fosse una lente d’ingrandimento, negli abissi dell’inconscio o nelle profondità della storia per cogliere verità altrimenti inesprimibili.
Maria Fiorella Suozzo
Fonti
Storia della letteratura del terrore. Il “gotico” dal Settecento ad oggi, David Punter
per tutte le opere poetiche: https://www.poetryfoundation.org/
immagine in evidenza: Abbazia nel Querceto, Caspar David Friedrich
Note e traduzioni
[1] Richard Hurd sul “gotico” in Spenser: On Chivalry and Romance: Letter VIII
[2] E le fornaci di Los urlano a perdifiato, vive: semoventi, lamentandosi con furia e disperazione […]
[3] La terra era grigia di fantasmi e l’aria era popolata di forme vaghe, come quando incombe uno stormo di vampiri davanti alla luce abbagliante del sole dei tropici […]
[4] Ma la mia Anima vaga, io la rivoglio indietro per meditare fra il disfacimento e tenermi come una rovina in mezzo alle rovine; per scovarvi stati caduti e grandezza sepolta […]
[5] Null’altro rimane. Intorno alle rovine di quel rudere colossale, spoglie e sterminate, le piatte sabbie solitarie si estendono oltre confine.