Ebbene sì, anche quest’anno le vacanze sono finite. Le lunghe giornate in spiaggia distesi al sole, tra un tuffo in acqua e una partita a pallavolo, sono oramai un lontano ricordo. Si ricomincia con la cara quotidianità, con i suoi ritmi frenetici e disumani che ci porteranno a desiderare di ritornare in vacanza il più presto possibile. La fine dell’estate è oramai giunta e non possiamo farci nulla.
Scherzi a parte, la fine della stagione estiva mette sempre un po’ di malinconia addosso a tutti noi. Non è da meno il mondo della poesia, i cui autori hanno affrontato la fine dell’estate con toni quasi tra il malinconico e il speranzoso. Vediamone alcuni.
Emily Dickinson: il temporale estivo
Considerata una delle maggiori poetesse statunitensi, la Dickinson ha dedicato moltissimi componimenti alla stagione estiva, filtrata attraverso le proprie emozioni e sensazioni. Un esempio su tutti è il celebre elogio conosciuto con il titolo di A something in a summer’s day (Qualcosa in un giorno d’estate).
Ma Emily Dickinson descrive l’estate anche con note di nostalgia, come nel seguente componimento intitolato Come qualche antiquato miracolo
Come Qualche Antiquato Miracolo
Quando la Stagione estiva è finita –
Sembra il Ricordo dell’Estate
E le Avventure di GiugnoUna Tradizione senza fine
Come gli Allori di Cenerentola –
O Little John – di Lincoln Green –
O le Gallerie di Barbablù –Le sue Api hanno un Ronzio fittizio –
I suoi Fiori, come un Sogno –
Ci esaltano – fin quasi a farci piangere –
Tanto plausibili – sembrano –Le sue Memorie come Canti – Ritornano –
Quando l’Orchestra è muta –
Il Violino riposto nella Custodia –
E Orecchio – e Cielo – intirizziti –
In una fredda giornata d’inverno, la Dickinson ricorda i lieti giorni estivi. Questi sono oramai un ricordo lontano, un Eden lontano immerso in un vero e proprio mondo di fiaba (come si legge nella seconda strofa) e l’estate non può che vivere nel ricordo della poetessa: il ronzio delle api risuona come una melodia in testa, come ricordo di quelle belle giornate trascorse in mezzo ai raggi del sole e contrapposte alle cupe e fredde giornate del rigido inverno.
L’estate acquista così la dimensione di una realtà lontana e perduta, forse non davvero vissuta. Serve ad indicare come i ricordi degli uomini siano destinati a scomparire per sempre.
Herman Hesse: La Fine dell’estate
Una delle figure più importanti del ‘900 letterario tedesco, Herman Hesse, descrive la conclusione della stagione estiva con la poesia che porta il semplice titolo de “La fine dell’estate”
Monotona, sommessa e lamentosa,
scorre tiepida la sera con la sua pioggia,
piangendo tra sé come un bambino stanco
va incontro alla vicina mezzanotte.L’estate sazia ormai delle sue feste,
tiene la corona nelle mani inaridite
e la butta via – è sfiorita -,
si china inquieta e vuol farla finita.[…]
La prima strofa ben evidenzia come Hesse usi un topos classico per descrivere la transizione dalla calda e solare estate al grigio e rigido autunno: quello della pioggia. Mentre le gocce d’acqua cadono dal cielo c’è un breve spazio di tempo per descrivere, in modo malinconico, come la stagione estiva sia ormai alla conclusione e lo fa attraverso la personificazione dell’estate stessa, vista dal poeta come un uomo stanco che si libera dai suoi caratteristici ornamenti e si stende come se fosse in procinto di morire. Un’immagine forte, che viene però interrotta dalle ultime due strofe di quartine.
[…]
Anche il nostro amore era una corona,
un divampare di calde feste estive;
ora l’ultimo ballo lentamente si spegne,
la pioggia cade, gli ospiti sono in fuga.Ma prima che lo sfarzo appassito
e l’ardore spento ci faccian vergognare,
prendiamo congedo dal nostro amore
in questa notte cupa.
Il poeta compara la fine dell’estate con la fine di un’altra stagione: quella dell’amore. Si crea così una vera e propria similitudine tra l’ambientazione naturale del poeta e il proprio dramma intimo. Due persone che si lasciano dopo una storia d’amore durata un’intera estate. La pioggia spazza via non solo le belle giornate di sole, ma anche i tempi lieti.
Arrivederci fratello mare di Nazim Hikmet
Chiudiamo poi con un componimento che forse, più di tutti, ben evidenzia la fine dell’estate. Arrivederci fratello mare , del “comunista romantico” Nazim Hikmet.
Ed ecco ce ne andiamo come siamo venuti
arrivederci fratello mare
mi porto un po’ della tua ghiaia
un po’ del tuo sale azzurro
un po’ della tua infinità
e un pochino della tua luce
e della tua infelicità.
Ci hai saputo dir molte cose
sul tuo destino mare
eccoci con un po’ più di speranza
eccoci con un po’ più di saggezza
e ce ne andiamo come siamo venuti
arrivederci fratello mare.
Neanche in questa poesia la malinconia manca. Attraverso un linguaggio semplice Hikmet riesce a trasmetterci sia la grandezza che la tristezza del mare, umanizzato attraverso l’uso del termine “fratello“.
In effetti il poeta sente un contatto quasi umano con questa vera e propria entità. Ne sente ogni grammo sulla propria pelle e sul propria persona, ma è anche consapevole che è costretto ad abbandonarlo e lasciare le piacevoli esperienze che ha vissuto. Ma per Hikmet la fine dell’estate coincide anche con una rinascita della speranza, con un’intenzione di fare tesoro delle esperienze vissute e di inserirle nel proprio bagaglio personale (eccoci con un po’ più di saggezza), nonché con l’ottimistica speranza di ritornare ad avere un contatto con il “fratello mare“. Non per questo non si tratta di un “addio”, ma di un “arrivederci”.
Ciro Gianluigi Barbato