È possibile fare tesoro della produzione artistica precedente richiamandosi ad essa, ma reinterpretandola in una chiave del tutto nuova e personalissima? Il pittore palermitano Alessandro Bazan ci è perfettamente riuscito.
Classe 1966, diplomatosi in pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Urbino, oggi vive nella sua terra d’origine e qui si dedica alla pittura, lavorando anche come insegnante presso l’Accademia di Belle Arti della città. Esponente della cosiddetta Scuola di Palermo e oramai affermatosi grazie a numerose mostre personali e alla partecipazione a mostre collettive, quest’estate e fino al 16 ottobre 2016 l’artista espone a Marsala 35 opere da lui realizzate a partire dal 1999, le quali costituiscono la sintesi di un intero percorso all’insegna della sincera e profonda venerazione di tutta la storia dell’arte, soprattutto di quella del Novecento.
La mostra, organizzata dall’Ente Mostra di Pittura “Città di Marsala” e curata da Sergio Troisi, allestita negli accoglienti spazi del Convento del Carmine, ha il titolo “Alessandro Bazan. Divagante”, proprio perché il pittore, insofferente alla monotonia e alla staticità, tende a divagare, a spaziare con estrema agilità nutrendosi di riferimenti e citazioni, ispirandosi ad un’ampia gamma di artisti. Non si tratta assolutamente di sterile imitazione perché le fonti vengono reinterpretate, filtrate dalla sensibilità, dalla cultura e dall’esperienza personale dell’artista con grande originalità. Una produzione solo apparentemente leggera, eclettica, dominata da un senso del movimento evidente sia nelle forme sia nelle cromie, attraversata da una potenziale vena narrativa laddove Bazan sembra voler raccontare le storie dei personaggi che dipinge, ma allo stesso tempo ne cristallizza i gesti e le azioni come in un’istantanea fotografica. Tutte queste opere esposte, di cui alcune inedite, mostrano una grande varietà di soluzioni iconografiche e formali, ma sono tutte accomunate dall’interesse per il reale.
La scelta, come ambientazione, di interni domestici o di spazi urbani rimanda alla pittura di Edward Hopper, a
quel realismo che indaga la dimensione della vita quotidiana. Per esempio nell’opera Ragazze schifosette (2010) lo spazio intimo di un salottino è abitato da quattro figure femminili che ricordano per alcune pose, per certi nudi, per dei tratti del corpo un po’ spigolosi, nonché per il titolo, Les Demoiselles d’Avignon di Pablo Picasso, ma anche alcuni dipinti di Renato Guttuso, il quale non a caso sperimentò le scomposizioni cubiste in chiave espressionista e che rappresenta un altro punto di riferimento importante per Bazan.
Uno dei soggetti prediletti dal pittore siciliano è proprio la donna, protagonista anche di altre sue opere. Ne Le studentesse americane (2013) i nudi e la dinamicità circolare generata dalla disposizione delle giovani donne che festeggiano attorno ad un falò sulla spiaggia farebbe pensare ad una reinterpretazione moderna, legata a personali ricordi di Mondello, di alcune versioni del ciclo di Cèzanne dedicato alla bagnanti. In Le petit déjeuner (2015) ci si immerge nuovamente in un interno, una cucina popolata dagli oggetti d’uso quotidiano. Stavolta non c’è nudo, ma le donne promanano ugualmente sensualità, colte e bloccate in atteggiamenti abitudinari e semplici, soffiare sulla tazzina del caffè o stiracchiarsi, come se qualcuno avesse scattato una fotografia a loro insaputa.
Anche la città, come luogo della vita associata, ha una forte rilevanza nei dipinti di Bazan. Essa è vista attraverso le vetrate degli edifici, dall’alto, nella desolazione notturna ed è rappresentata con pennellate veloci, non minuziose, divenendo scenario in dissolvenza per figure ugualmente indefinite e suscitando quel senso di solitudine comune ai dipinti hopperiani. L’artista dipinge anche la natura, delineata in modo altrettanto essenziale, come i campi soleggiati di Ognuno per sé (2008) e Pobre (2016). Nella prima opera le figure filiformi e sintetiche rimandano alle sculture di Alberto Giacometti, le quali sono come ombre che però hanno conquistato lo spazio tridimensionale e che Bazan riporta nuovamente sul piano bidimensionale della tela; gli uomini del secondo dipinto sono meglio definiti, ma c’è ancora un richiamo alle opere di Giacometti nel modo di incedere
delle figure a passo ampio. Tutti questi elementi sono conciliati con inquadrature mutuate dal cinema, come i punti di vista dal basso o leggermente dall’alto, i tagli netti ed improvvisi per cui alcune figure non sono rappresentate nella loro totalità, ma tagliate dal bordo del dipinto, come l’uomo sulla destra in Ognuno per sé.
Dunque questa prima antologica mostra come Alessandro Bazan sia capace di contaminare pittura, scultura, fumetto, espedienti del cinema senza risultare mai ripetitivo, ponendosi sulla strada del realismo e conferendo alle sue opere una specifica ed inconfondibile identità artistica.
Emanuela Ingenito