Una vignetta satirica o di cattivo gusto? La vignetta, divenuta immediatamente virale, che raffigura due uomini insanguinati insieme con altrettanti stratificati come fossero una bella parmigiana della domenica, ha centrato in pieno il suo obiettivo: scuotere l’animo delle persone. Che poi lo abbia fatto in positivo o in negativo è un altro paio di maniche.
Certo, per chi è sopravvissuto al sisma non è facile farsi un’amena risata e passare oltre; soprattutto se sotto le macerie si è lasciato dietro un familiare, un amico, o “semplicemente” le quattro mura di casa, dalla quale magari avrebbe avuto fretta di scappare se adolescente, o rifugiarvisi dopo un’estenuante giornata di lavoro.
Immaginiamole più o meno così le vittime di Amatrice, nelle tendopoli al tramonto; gli ultimi stralci d’estate che ci regalano ancora un po’ di sole, forse, addolciscono l’idea di non avere un vero letto dove dormire né la propria privacy. Ma la consapevolezza che siamo già a settembre non mette ansia solo agli studenti sotto esame, e se non si riuscisse a tornare alla normalità al più presto? Il Natale quest’anno lo passeranno in campeggio? E intanto c’è qualcuno che, indignatissimo, lancia l’idea di buttare fuori dagli alberghi a cinque stelle gli immigrati, che vergogna, invece di venire a scavare…
È perciò in nomine “Fratelli d’Italia” che i leoni da tastiera si svegliano, un po’ come i cantanti dell’estate, per risolvere i nostri problemi più spinosi, così come si grida alla “Liberté” o alla “Fraternité” se c’è da stringersi attorno ai fratelli francesi vittime degli attentati terroristici. Ma insomma, questi immigrati che proprio non vogliono scavare e mosca!
Il punto quindi qual è? Che ci infervoriamo nel leggere una vignetta satirica che bersaglia i nostri morti, così come non abbiamo fatto per i bersagli di un altro ciclo di vignette satiriche, elaborate dallo stesso giornale. Ci siamo sentiti offesi però quando lo stesso giornale è stato colpito dalla furia del terrorismo, da chi abbiamo accusato di essere barbari sanguinari, o adorabili musoni incapaci di comprendere lo spirito della satira, dipende poi dalle teste (più o meno) pensanti.
Je suis ou Je ne suis pas Charlie Hebdo?
Per dirla usando un po’ di sana saggezza popolare: se ti dicono di non preoccuparti e andare avanti, perché tanto sei nel giusto e, insomma, non hai proprio da essere criticato in nessuna cosa, allora non crederci nella maniera più assoluta, perché solo chi non ti vuole bene non ti critica. Cioè, se Charlie Hebdo fa satira (che poi in quanti sappiamo davvero che significa codesta parola?) sull’Islam, sul burkini, sull’Isis e Maometto con tutta la sua famiglia allora tutto tace, tanto qual è il problema? Che non ci riguarda.
Se Charlie Hebdo fa la même chose con gli italiani allora sì che ci ribelliamo, e cominciamo a cacciare tutti i nomi dei terremotati, a intervistarli per chiedergli come si sentono adesso riguardo alla loro condizione.
Cercare di raccapezzarsi in questo mare di ipocrisia è complicato, anche perché se nel mare ci muore un bambino si piange solo se non è siriano/iraniano/affiliato malvagio dell’Isis. Non è una questione di buon gusto, non possiamo ancora parlare di questo perché non abbiamo fatto la digievoluzione del pensiero razionale.
Seguiamo sui social tutti l’hashtag di “JeSuisChalie” così come “JeSuisBruxell” o un qualsiasi “JeSuis..” almeno fin quando ci fa comodo. La libertà d’espressione, che sia diretta o indiretta, come nel caso della satira è un diritto inalienabile, anche quando è pungente, anzi, tanto più lo è tanto meglio è. La verità è che ci ha dato fastidio che ancora una volta l’opinione estera, ovviamente occidentale, ci abbia sbattuto in faccia quanto noi siamo incapaci di costruire case usando veri piani antisismici, quanto insomma siamo marci fino all’osso perché facciamo le solite cose “all’italiana”, perfino un terremoto.
Non avendo i poteri magici di Medea non possiamo dire alla Terra di non tremare, o ai vulcani di non eruttare, ma potremmo quantomeno costruire con cognizione di causa e lasciare stare il polistirolo, o non avremo mai possibilità di toglierci dalla fronte quest’etichetta “all’italiana” che se non si è capito è sinonimo di arronzoni. Con ironia, seppur sferzante, la satira mette in luce determinati problemi; è denuncia, fa scalpore, e non si può certo dire che Charlie Hebdo non sappia fare bene il proprio mestiere, e sì, perdendoci anche la vita quando è servito.
Ma se non impariamo che la satira può toccare chiunque, non solo chi ci fa comodo al momento, non ci scrolleremo di dosso né l’infamia di essere disorganizzati nell’animo, né questa paura ancestrale dell’altro per eccellenza: l’Islam, che le Crociate sono finite da tempo, anche se Facebook non ce lo ha ricordato, e la vita continuerà a oscillare incessantemente fra il “sono o non sono qualcosa”, non più qualcuno.
Roberta Fabozzi