Ogni angolo del nostro Paese è ricco di tesori storico-artistici che pochi conoscono. Così anche in Penisola Sorrentina, nonostante essa sia interessata da un imponente flusso turistico annuale, dove si trovano due musei locali, due preziosi gioielli: a
Vico Equense (Na) l’Antiquarium Silio Italico, sito nel palazzo del Comune, il quale raccoglie varie classi di reperti di età arcaica provenienti dalla necropoli; a Piano di Sorrento (Na), invece, il Museo Archeologico Territoriale della Penisola Sorrentina Georges Vallet, con sede nella bella Villa Fondi di Sangro, il quale conserva ed espone reperti rinvenuti nella città e in vari comuni limitrofi, coprendo un arco cronologico molto ampio che va dalla fase preistorica e protostorica fino all’età romana.
La stessa sorte accomuna questi musei: numero ridotto di visitatori, poco personale, scarsa promozione, assenza di servizi accessori e complementari. Parte della comunità locale ignora persino la loro esistenza. Certamente essi sono messi in ombra da altre realtà culturali di Napoli e provincia, come gli scavi di Pompei per i quali si può parlare, citando Francesco Antinucci, di “brand name”, poiché capaci di attirare visitatori non per ciò che conservano (nonostante si tratti di un patrimonio di notevole importanza), bensì in virtù di un ‘marchio’ ormai di largo consumo.
Eppure un margine di miglioramento è ancora ottenibile, senza porre obiettivi impossibili e magari facendo squadra. Si prenda l’esempio di alcune regioni italiane, come la Toscana o l’Umbria, nelle quali i musei locali di piccole e medie dimensioni hanno visto una possibile soluzione nella costituzione di reti museali, forme organizzative estremamente flessibili, basate su una trama di rapporti tra istituzioni e luoghi della cultura che permetto loro di condividere attività e servizi al pubblico, perseguendo così importanti economie di scala, una maggiore efficienza organizzativa e un miglioramento dell’offerta culturale, e di preservare al contempo la propria specifica identità e un certo grado di autonomia.
Perché allora non pensare anche in questo caso ad una rete museale? Essa potrebbe avere carattere informale, grazie a relazioni spontanee e non troppo vincolanti tra le due istituzioni, e inoltre sarebbe omogenea poiché si tratta in entrambi i casi di musei locali che ospitano collezioni archeologiche.
In primis si dovrebbe puntare ad una maggiore promozione, ma la carenza di finanziamenti pubblici non aiuta. Perciò bisognerebbe ricorrere a fonti alternative di finanziamento. L’imposizione di una tariffa d’ingresso è impensabile poiché non farebbe altro che inibire il visitatore, scoraggiato ad entrare a pagamento in un museo piccolo e semisconosciuto, ma per fortuna ci sono altre strade da percorrere: l’ingresso a contribuzione volontaria, una sponsorizzazione a livello locale, la destinazione di una parte della tassa di soggiorno a questi luoghi della cultura, forse anche una campagna di raccolta fondi tramite internet.
Ecco che emerge un altro tasto dolente: il rapporto dei due musei locali con il web. I loro siti internet sono scarni, non aggiornati; nel caso dell’Antiquarium Silio Italico una brochure digitale priva di collegamenti ipertestuali (facente parte del portale: http://www.museincampania.it/), per il museo Georges Vallet un sito più articolato ( afferente a: www.cir.campania.beniculturali.it), ma sul quale si potrebbe ancora lavorare. Per potenziare questo aspetto potrebbe anche crearsi un sito internet condiviso allo scopo di ottenere più ampia visibilità e di stabilire un legame culturale forte e continuo tra due istituzioni che si trovano in città vicine, ma diverse. La condivisione di tale servizio sarebbe vantaggioso a livello economico, in quanto si dimezzerebbero i costi di realizzazione e di manutenzione del sito. Tutto ciò dovrebbe essere accompagnato anche da un utilizzo proficuo dei social network (Facebook, Twitter ecc.), perché non bisogna sottovalutare l’enorme potenziale comunicativo del Web 2.0 anche in campo culturale e artistico.
Prima di tutto ciò è però importante attrarre la comunità locale, avvicinarla alla propria storia antica e alle collezioni che ne sono testimonianza. Questo coinvolgimento non può che partire dai docenti delle scuole con l’organizzazione di un circuito ragionato di visite guidate, coerente e tematico nel caso dei due musei archeologici, le cui collezioni d’altronde sono perfettamente complementari e stimolerebbero il visitatore a creare collegamenti e confronti culturali tra le due realtà territoriali per quanto riguarda il loro passato storico e artistico; il tutto giocato sulla curiosità di bambini e ragazzi, capaci di coinvolgere a loro volta gli adulti, a partire dalle proprie famiglie.
Troppi condizionali, molte possibilità a cui le istituzioni politiche locali potrebbero e dovrebbero dare finalmente concretezza.
Emanuela Ingenito