Il montaggio discontinuo, discontinuità spaziale e temporale
Come si è visto negli articoli precedenti, attraverso un uso non convenzionale del montaggio è possibile raccontare una storia pur non rispettando le regole della continuità classica. Attraverso il montaggio discontinuo, nel particolare, è possibile creare forme di discontinuità sia spaziale che temporale.
Un evidente modo di stravolgere la regolarità spaziale è certamente quello di violare la regola dei 180° (dividere il campo in due parti attraverso una linea immaginaria che unisce i due soggetti che stanno dialogando e posizionare la mdp solo in una delle due zone identificate, in modo tale da garantire la regolarità e la linearità spaziale e narrativa).
Se si prendesse in esame la filmografia di Jacques Tati e quella di Ozu, sarebbero frequenti gli esempi di scavalcamento di campo, che, nel loro caso, danno vita a un sistema di rappresentazione dello spazio non più a 180° ma a 360°. Sia Tati che Ozu, piuttosto che pensare a uno spazio diviso in due e collocare la mdp nell’ambito di un semicerchio delimitato da quella che è la linea dell’azione principale, danno vita a uno spazio circolare, a 360° appunto, nel quale posizionano a loro piacimento la cinepresa.
In questo modo, la posizione dei due personaggi sarà così di volta in volta rovesciata sullo schermo, chi era a destra ora sembrerà essere a sinistra e viceversa. Chiunque veda tale violazione della regola principale, avrà subito una sensazione di spaesamento (che, nel caso dei film degli autori citati, però, non impedirà di continuare a seguire la logica della narrazione).
Un’altra modalità attraverso la quale dar vita a forme di discontinuità (ancora spaziale) è, di certo, ciò che viene frequentemente chiamato “falso raccordo” nella quale vi è un utilizzo anomalo (ma comunque con uno scopo associativo) del montaggio. Con il falso raccordo vi è un utilizzo “sgrammaticato” delle regole del montaggio, ad esempio, si mettono in successione due o più inquadrature di uno stesso personaggio troppo simili sul piano della distanza (o dell’angolazione), non rispettando la convenzione del cinema classico che vuole che due inquadrature successive siano sufficientemente diversificate, in modo tale da giustificarne il passaggio.
Spesso, erroneamente, si tende a utilizzare indifferentemente il termine falso raccordo con quello di jump cut. In realtà, quest’ultimo, più che essere un utilizzo sgrammaticato dei raccordi (come nell’esempio citato) vi è un vero e proprio lavoro di sottrazione, il raccordo viene eliminato esplicitando (piuttosto che attenuare) gli stacchi, rendendoli evidenti.
In questo caso si prende spesso in esame la filmografia di Godard e il famoso Fino all’ultimo respiro (1960).
Ma non è stato il solo, anche Hitchcock (che per certi versi può essere considerato un autore estremo, pronto ad assumersi la responsabilità di andare contro ai canoni classici), nella scena dell’omicidio in Psyco dispone le inquadrature in modo anomalo, con l’obiettivo di disorientare lo spettatore e creare suspense.
L’utilizzo di queste tecniche, che rientrano propriamente nelle caratteristiche del montaggio discontinuo, sconvolgono l’ordine spaziale, creano confusione e disorientamento che è utile ai fini del coinvolgimento emotivo nella narrazione. È, essenzialmente, l’eccezionalità dei modi di rappresentazione.
Insieme all’uso dello scavalcamento di campo, del falso raccordo e dello jump cut, un’altra forma del montaggio discontinuo può essere individuata nel ricorso a inserti non diegetici, che interrompono la regolare successione delle inquadrature attraverso piani estranei allo spazio e al tempo del racconto.
Il montaggio discontinuo, in questo modo, inoltre, può anche essere in grado di rimodulare le modalità temporali del racconto attraverso una vera e propria aggressione ai principi di ordine e di frequenza.
Di fatto, nel cinema classico esistono essenzialmente due modalità attraverso le quali approcciarsi al tempo: aderenza (il tempo della storia coincide con quello del discorso) o accelerazione (il tempo del discorso è più breve a quello della storia).
Ma, con il montaggio discontinuo, un’inquadratura può essere ripetuta o anche sovrapposta (overlapping editing: l’inquadratura B non comincia esattamente dove finisce l’inquadratura A ma ne ripete l’ultima parte) e, in questo modo, il tempo della narrazione viene amplificato, dilatato.
Ad esempio, in Ottobre (Ejzenštejn, 1927), vi è la ripetizione in quattro inquadrature dell’apertura della porta della sala degli zar.
Cira Pinto