La mostra di Ai Weiwei, “Libero” è uno degli eventi da non perdere di questo 2016. Un viaggio nelle terre del dissenso, di quelle terre non solo geografiche ma prima di tutto mentali, un’autobiografia in cui certamente non possiamo riconoscerci tutti (chi di noi è stato in carcere in un paese che limita la libertà di espressione?), ma che lancia il sassolino dell’autoanalisi e della riflessione nella nostra mente: ma noi, siamo davvero liberi?
Si inizia dalla facciata di Palazzo Strozzi, dai gommoni applicati alle finestre della storica abitazione fiorentina e che hanno fatto discutere la critica e i cittadini negli ultimi mesi.
Molti hanno urlato allo scandalo, per l’apparente deturpazione dell’edificio, ma non è forse un voler criticare a tutti i costi qualcosa che tra qualche mese andrà comunque via? Soprattutto se pensiamo che dietro alla materialità di un artista – che si avvale di qualsiasi mezzo espressivo – c’è una costante riflessione sulla nostra realtà contemporanea: i gommoni sono il mezzo con il quale i rifugiati dai paesi in guerra e dalle dittature cercano di arrivare nel mondo “moderno” e “libero”, molto spesso senza vedere mai questa meta. Anche se come sottolinea proprio l’artista “Il mondo è una sfera, non esistono Oriente od Occidente“. Non è che in realtà è proprio il pensiero che fanno scaturire in noi a infastidirci, preferendo piuttosto cambiare canale quando il telegiornale mostra determinate immagini?
Ai Weiwei e la Cina
Ma proprio dall’Oriente viene il nostro uomo, da un paese per il quale ha lottato e sofferto, molto più di quello che si possa pensare guardando semplicemente l’artista. Tutta la mostra è collegata dal fil rouge del dissenso, dell’evasione e della punizione che un paese, in cui persino internet è vietato o controllato, non manca di applicare serenamente.
Per esprimere il suo pensiero libero, per indagare su eventi poco chiari della politica e della cronaca cinese, è stato infatti arrestato, interrogato per ore, chiuso forzatamente in casa con microspie segrete e controllato a vista da agenti e telecamere. Insomma, un artista o un pericoloso terrorista?
Il substrato culturale cinese, quella cultura che è stata controllata, repressa, manipolata dal regime, si esprime nelle performance che mettono in discussione persino la storia millenaria: Ai Weiwei deturpa irrimediabilmente o distrugge gli antichi vasi simbolo della storia del suo paese, pensando che in realtà la storia non insegna nulla, se nel 2016 si cerca di limitare la conoscenza e la libertà. Ma ancora, sculture di armi di tortura, di organi in porcellana, per ricordare la doppia faccia della Cina: il triste primato di traffico di organi sì, ma rappresentato con una delle tradizioni per cui è più famosa al mondo. Termina il percorso espositivo un muro, ultimo resto di uno studio costruito da Ai Weiwei e che il governo cinese distrusse come memento.
E non manca, nella prima retrospettiva italiana dell’artista, un richiamo alla città ospitante: nella sala del Rinascimento, quattro ritratti realizzati in Lego sono dedicati ad altrettanti dissidenti ed esiliati della storia fiorentina: Dante Alighieri, Filippo Strozzi, Girolamo Savonarola e Galileo Galilei. Un omaggio che non poteva mancare.
Insomma, spesso si cerca di rispolverare la vocazione sociale dell’arte quale mezzo per denunciare, per contestare, per liberare la mente e l’anima dalle sovrastrutture che la nostra moderna società ci impone. Ai Weiwei ha imbracciato questo ideale, rendendo tutta la sua vita una continua lotta, alle ingiustizie, alle diversità, e addirittura alla cultura stessa, quando vissuta come uno stereotipo vuoto e privo di reale utilità.
Antonella Pisano
photo: Antonella Pisano, www.palazzostrozzi.org