Nell’opera del non conosciutissimo Salvatore Toma (1951-1987), poeta maledetto salentino, la morte è un tema centralissimo e costantemente presente nell’immaginario lirico del poeta: la morte è l’indiscussa protagonista del suo “Canzoniere” pubblicato postumo. Nato a Maglie in provincia di Lecce nel 1951, Salvatore Toma dopo gli studi liceali si dedica alla poesia con la quale si crea una vita in ragione diretta della sua assenza dalla vita degli altri, i suoi concittadini. Un poeta naif e maudit che in molte delle sue poesie attinge a un naturalismo selvaggio e appassionatamente lirico.
Muore all’età di 35 anni, lasciandosi morire per abuso di alcool. Poeta minore, il meno conosciuto tra i cosiddetti “poeti maledetti salentini” deve la sua piccola fama ad una raccolta postuma di poesie anche inedite prima a cura della filologa Maria Corti, e poi da altri studiosi pugliesi. La raccolta reca l’emblematico titolo di “Canzoniere della morte” segnalando sin da subito il tema caratterizzante la produzione di Salvatore Toma, per il quale la morte è stata una vera e propria compagna poetica.
“Canzoniere della morte”
“Canzoniere della morte” è un esauriente antologia delle liriche del poeta salentino ed è suddiviso in tre sezioni che rispecchiano i temi fondamentali della sua ispirazione poetica: la pietas verso gli animali, la libertà erotica o ludica dei mondi possibili sognati e la fascinosa insidia dell’idea di morte. Questa in particolare caratterizza la prima delle tre sezioni, la cui forza drammatica ed intensa è sempre legata alla particolare interiorità dell’autore.
Nell’isolamento della provincia, Salvatore Toma scrive una poesia molto diversa dalla ideologizzazione neo sperimentale e dalle poetiche che si andavano elaborando in Italia tra Settanta e Ottanta; la poesia di Salvatore Toma è quella di un “ruminatore-visionario” che dona centralità al discorso lirico con una sorta di primitivismo linguistico; intorno al problema della propria morte, con una versificazione basata sul verso libero, sulla percussione ritmica e su un linguaggio descrittivo circoscritto a poche e fisse figurazioni di base che esprimono le variazioni ossessive della sua ruminazione interiore, la poesia di Salvatore Toma è la proiezione all’esterno delle sue ruminazioni interiori.
“Spesso penso alla morte
Al modo in cui dirò addio alla vita
A come avrò la bocca in quell’istante
Le mani il corpo…”
Tra mondo interiore e mondo esteriore del poeta salentino la distanza è minima; la sua interiorità si realizza in pagina scritta e l’ossessione, soprattutto lirica, della morte è espressa regolarmente nell’opera di Salvatore Toma: la realtà spesso è trasformata in favola personale. Svanite le passione immaginarie che lo avevano ispirato, nella sezione “Canzoniere della morte”, che dà anche il titolo all’intera raccolta, l’autore cerca di incastrare il proprio sistema nervoso letterario col sistema divino come ci suggerisce un testo datato 1984:
“Dio è dentro di me
Perfetto e sicuro
Come nel deserto una volpe gialla.
Dio mi ama e tutto
mi perdona
quando lo bestemmio
lo adulo, lo ribestemmio,
torno ad adularlo
a rifarlo mio a cercarlo
e lui si fa adulare,
le bestemmie le sente sorridendo.
Un capriccio mi considera,
un capriccio
con cui suole giocare.
Dio mi ama
Come la Morte.”
Qui Salvatore Toma sembra contemplare con nobiltà e complicità il proprio destino di suicida. In questo Canzoniere la Morte a volte appare come dolce presagio, un’ombra mite che gli tocca dolcemente la spalla, lui non la vede ma la avverte fortemente: per il poeta “lei” non è negativa, lo sono i propri simili: “Io sono morto /per la vostra presenza”.
La “Laura nera” di Salvatore Toma
Con la sua anarchia poetica, Salvatore Toma si pone dalla parte di chi si suicida, per lui “farsi fuori” non è un atto di viltà: se il mondo ci persuade che il suicidio sia sbagliata è perché il mondo non si avvede di quanto sbagliato sia esso stesso. La morte, protagonista principale del Canzoniere rappresenta “una nera Laura, magica e invisibile” che prova l’aristocrazia intellettuale di una scelta.
In un atmosfera surreale Salvatore Toma si avvicina con la fantasia di un innamorato a questa invisibile Laura che lo guida dolcemente: la morte accompagna il poeta per tutta la vita insinuandosi tra le selvagge e surreali fantasie del poeta.
Altri motivi della sua poesia come il rapporto mondo animale-uomo e l’universo del sogno-realtà, non lo stimolano come la morte che è tale solo in relazione alla vita: il sonno eterno è qualcosa di deliziosamente interiore, la voce più profonda dell’io del poeta maledetto.
“Io e la morte
Ci conosciamo bene
…
So quando scherza
Quando esagera
…
Spesso la mando via
Con delicatezza
Con discrezione
Le faccio notare sorridendo
Che sono stanco
E che tanto è il sonno arretrato
A volte devo ricorrere ai calci
E diventa come diventa
Una donna innamorata…”
Il vento è spesso evocato dal poeta che nella sua visione rappresenta lo stato di passaggio proprio della vita umana oltre ad una sua intima aspirazione: Salvatore Toma vuole essere vento, passare dalla vita all’orizzonte successivo, da qui deriva una incomparabile familiarità con la morte. L’assidua e misteriosa presenza ci fa avvertire con forza l’originalità di questa poesia nel contesto tradizionale e in quello contemporaneo: una poesia in cui trova appagamento la deriva esistenziale dell’autore salentino; e proprio nel voler essere e sentirsi appartato, nella irrimediabile unicità dei suoi testi, risiede l’originalità della sua esperienza poetica. Nella condizione di poeta maledetto, Salvatore Toma instaura con la morte una familiarità che sembra scaturire inevitabilmente dalla sua inclinazione naturale.
“Vento leggero che parli
Con voci di foglie
Che apri i germogli
E li fai trepidare
Nella primavera
…
Fa’ che la mia morte
Sia liscia, serena
Come il tuo respiro.”
La morte, l’esaurirsi delle funzioni biologiche che caratterizzano un individuo, si riferisce sia a un evento specifico sia ad una condizione permanente ed irreversibile; ma essa non può essere definita se non in relazione alla vita e in una visione libera da convinzioni religiose, la morte non esisterebbe dato che l’universo non perde le proprie funzioni.
L’uomo ha sempre temuto la morte, il culto dei defunti esiste dall’età della pietra e le arti d’ogni tempo hanno realizzato nei secoli infiniti simbolismi e allegorie della morte; la letteratura, cercando di esplorare l’inesplorabile, si è trovata inevitabilmente ad affrontare il tema della morte. Per quanto possa essere assillante la forte tematica del sonno eterno, Salvatore Toma conferma che la poesia e la letteratura in genere hanno sempre saputo trasformare il dolore in bellezza, e ancora una volta la parola poetica rivela il suo grande effetto taumaturgico riuscendo, anche per un solo istante, a risollevarci permettendoci di guardare alla morte con distacco e sguardo disincantato.
Maurizio Marchese
Fonti:
Salvatore Toma, Canzoniere della morte, a cura di Maria Corti Einaudi, 1999 .