Nel 1983 Carmelo Bene pubblica l’autobiografia “Sono apparso alla Madonna”. È davvero nient’altro che racconto della propria esistenza?
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L’autobiografia tradita
È assurdo quanto l’autobiografia produca nell’individuo l’edificazione di un’identità. Come tra le pagine di un romanzo di formazione, il soggetto volge lo sguardo indietro nel corso dell’ultimo capitolo per osservare gli avvenimenti che l’hanno aggrovigliato dentro un turbine senza alcuna possibilità di respiro: allora racconta di sé a sé stesso, diviene oggetto d’una narrazione, si descrive tradendo dietro il resoconto quella che di fatto è un’opera d’arte. L’episodio, l’avvenimento di cui la memoria autobiografica non possiede che un’immagine pregiudizievole è annullato e disperso nella fitta boscaglia della letteratura. Il racconto che desiderava essere, se non veritiero, almeno verista, si evolve in corso d’opera in un artefatto che pare più una favola che una descrizione d’eventi. Dal traguardo si osserva l’origine, dall’età adulta, la giovinezza: ciò che si riscopre è la drammaturgia animata nel ricordo.
Carmelo Bene, o vita di CB
In tale paradosso, la miglior autobiografia pare essere quella che ne presenti a monte il protagonista agghindato da oggetto d’arte. Trasparenti, dunque, gli intenti di Sono apparso alla Madonna, memoriale di Carmelo Bene presentato ai lettori nel 1983, dove apparire alla Madonna annuncia lo squarcio che con le mani si apporta alla stoffa del reale; del divino ci si burla, lo si oltrepassa, gli si «fa il verso».
È con indosso l’abito di Maria che l’autore racconta alla pagina ciò che è stato di lui e risuona, la sua parola, di voci femminili, gradazioni d’alcool, brevi mitologie dell’aneddotica.
Tra le poltrone del primo teatro di prosa da spettatore, ad esempio, mentre con la nonna esplora l’affanno degli attori verso la naturalezza durante la rappresentazione di un testo, il piccolo Carmelo si interroga: “Ma se parlano dei fatti loro, perché allora non parlano più piano? Si sente tutto!”. Genio d’infanzia o ricostruzione mascherata dell’adulto? Fuori dallo spazio dell’autobiografia risulterebbe davvero misero l’interesse per tale faccenda.
A scena chiusa
Le messe-in-scena di cui Carmelo Bene era autore e interprete, quelle lezioni critiche in voce (o fuori dalla voce) che sulle tavole di un proscenio si profilavano nei volti di Manfred, di Amleto o anche soltanto di Pinocchio, sembrano istituire una “Critica della Ragion Teatrale”. Ciò che l’autore presenta è una discussione dell’intero far teatro, lo sciocco mettere in scena. “Detesto la viltà del riferire”, scrive, dove il riferito è nient’altro che un testo a monte nella ripartizione di battute e atti dietro l’austera figura delle tre unità aristoteliche giammai abbandonate.
Ma torniamo al “togliere di scena”. Una “trovata”? Piuttosto, direi una “perduta”.
Il testo è per l’attore l’oggetto da mostrare agli spettatori in un goffo tentativo di incorrere nel loro favore, un cenno del capo come il principio d’un applauso, meglio se a scena aperta. È al freddo della vita, invece, a scena chiusa, che è necessario produrre un capolavoro dell’esistenza (“bisogna essere dei capolavori!”, proclama Bene durante il primo dei due Uno contro tutti a lui dedicati nei luoghi del Maurizio Costanzo Show) e soltanto in seguito abitare quella scena come chi desidera distruggere sé stesso, gettare sulla piazza l’idolo di terracotta con i propri lineamenti. Affrancarsi dall’identità, dal narcisismo: cosa presenta l’attore ai paganti se non, letteralmente, tutto sé stesso?
Volti, suoni, episodi
È in un crogiuolo di volti che si dispiega l’autobiografia: Dalì, Montale, Deleuze, volti dell’arte, allo stesso modo quelli della letteratura, della poesia, del teatro; parole recitate, decantate, lasciate risuonare nei colloqui privati (quelli insieme con altri autori e quelli con la polizia) e verso la platea, in pubblico, mentre altri volti, ricolmi di meraviglia, assistono al de-pensamento dell’opera teatrale in forma di suono.
Eppure non abbandona la rapsodia e, mentre discute di come Dalì dicesse male di Lorca, Bene ritorna all’esplicazione di un pensiero filosofico. L’autobiografia diviene dunque un excursus dentro il saggio, così l’aneddotica si rivela dal proprio nascondimento: non è che una parabola, un tentativo di rendere sé stessi il modello esemplificativo dell’esposizione filosofica.
Fu ad opera del giornalista Giancarlo Dotto che una “Vita di Carmelo Bene” venne data alle stampe nel 1998, una lunga intervista in cui l’autore, pur nel proprio stile, si descrive in un percorso a un tempo artistico ed esistenziale. Cos’è, tuttavia, la vita al cospetto della narrazione?
Antonio Iannnone
BIBLIOGRAFIA
ARISTOTELE, Poetica, Aristotele, Poetica, a cura di G. Paduano, Laterza, Bari 1998
C. BENE – G. DOTTO, Vita di Carmelo Bene, Bompiani, Milano 1998
C. BENE, Sono apparso alla Madonna, Bompiani, Milano 1983