Il 19 Dicembre, Vivendi, il gruppo industriale che si occupa di media e comunicazione di proprietà del bretone Vincent Bolloré, ha annunciato di puntare ad acquistare il 30% delle azioni Mediaset, e conseguenti diritti di voto, così come si legge nella nota pubblicata dalla società. La notizia arriva a poco meno di una settimana dall’intenzione di mirare al 20% delle quote di partecipazione, testimoniando la notevole velocità dell’operazione, che dovrebbe culminare, come previsto dalla CONSOB, nella formalizzazione di un’Offerta Pubblica di Acquisto. Altrettanto rapidamente, e come diretta conseguenza, si assiste all’aumento di valore delle azioni Mediaset.
Il precedente accordo Vivendi-Fininvest
Tuttavia, alle dichiarazioni abbastanza neutre del gruppo francese, hanno fatto seguito interventi piuttosto accesi da parte di Fininvest, e una preoccupata dichiarazione da parte di Carlo Calenda, il Ministro allo Sviluppo Economico.
L’ostilità di Fininvest ha origine dal fallimento di un precedente accordo tra la famiglia Berlusconi e Bolloré. Infatti, nell’aprile 2016 le due aziende si erano accordate per scambiarsi il 3,5% delle azioni, e Bolloré, dietro l’impegno ad acquistare l’80% della piattaforma Mediaset Premium, sarebbe potuto arrivare al 5% di proprietà di Mediaset in tre anni. A luglio, però, con una lettera al consiglio d’amministrazione, Vivendi ritratta la sua parte d’accordo, proponendo come alternativa, mantenendo lo scambio delle quote, l’acquisto di solo il 20% di Premium, e di puntare ad arrivare al 15% del capitale Mediaset tramite un prestito obbligazionario convertibile. A motivare questo cambiamento, si legge in un’altra nota, è la differenza di valutazioni sul bilancio della piattaforma Premium.
Offensiva del Biscione
Proprio a partire da queste differenti considerazioni sul bilancio di Premium, Mediaset ha deciso di spostare il tavolo delle trattative in tribunale. La compagnia di Cologno Monzese, infatti, ritiene che la distribuzione di notizie sul business plan della piattaforma, ritenuto dai francesi “fondato su ipotesi irrealistiche”, sia un atto illecito, e che, in ogni caso, la sua tempistica sia sospetta, considerato che, sostiene sempre Fininvest, i libri contabili erano consultabili già da marzo.
La contrapposizione, come abbiamo visto, non è finita con il mese di luglio, e anzi, si è riaccesa, inevitabilmente, con gli ultimi sviluppi, che hanno colto di sorpresa il gruppo di Berlusconi. Fininvest ha successivamente presentato un esposto alla Procura di Milano e alla CONSOB, proprio in virtù dell’irregolarità dell’acquisto, che avrebbe avuto successo in seguito all’abbassamento del valore dei titoli Mediaset proprio a causa delle titubanze di Vivendi sulla prima versione dell’accordo intorno a Premium. Così è avvenuto anche in risposta ai più recenti acquisti. Un verdetto, ad oggi, è ancora atteso.
Ultimo, ma non per importanza, arriva anche un esposto di Fininvest al garante delle comunicazioni, l’Agcom, nel quale esposto, oltre alle accuse di atteggiamento scorretto rispetto alla disciplina di settore, si aggiungono i timori circa la concentrazione che si verrebbe a creare, nel ramo telecomunicazioni, qualora Vivendi, che possiede anche Telecom Italia, diventasse azionista di maggioranza.
La Fininvest, ora come ora, si trova impossibilitata a fronteggiare Vivendi sul piano del mercato, non disponendo delle risorse necessarie a formalizzare un’OPA, manovra esosa, e non potendo più acquistare azioni Mediaset: ha già raggiunto il limite d’acquisto annuale del 5%, previsto dal Testo Unico della Finanza.
Vivendi ha scelto di non commentare le iniziative legali italiane, non rinunciando a sottolinearne la “bellicosità”, e invitando ad un loro ritiro.
Reazioni Politiche
Trattandosi del più importante gruppo televisivo privato italiano, per anni l’unica alternativa alla statale RAI, facente riferimento ad una figura politica del calibro di Silvio Berlusconi, l’intera vicenda è diventata presto, da accordo fra privati, oggetto di interesse politico. Oltre alle già citate dichiarazioni di Calenda, il 20 dicembre hanno fatto seguito quelle del ministro degli esteri, Angelino Alfano, che, durante l’incontro con l’omologo francese Jean-Marc Ayrault ha manifestato, a nome del governo italiano, la preoccupazione circa l’atteggiamento di Bolloré; ribadita, in sostanza, la tendenza verso una stretta sorveglianza governativa dagli accenti protezionistici, attenzione che, secondo Alessandro Di Battista, non è stata garantita in casi precedenti.
Non è certo la prima volta, però, che risuona le retorica della “difesa dell’italianità”, sempre preferita ai meno trascinanti inviti alla riflessione sul ruolo della CONSOB e alla corretta applicazione delle regole del libero mercato.
Alfredo Galdi