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Pasolini: il furore dell’ambiguità
Ciò che l’intera esistenza letteraria di Pier Paolo Pasolini possiede è un dialogo tra corpi che come in uno specchio pur osservandosi e scrutandosi non si riconoscono, alla stregua di due coppie di padri e figli e che vicendevolmente si diseredano. In tale economia dell’ambiguità, ronzii d’ulteriore disturbo affiorano dove il genere si mescola, diviene ubuesco, si maschera dietro il ghigno dell’erotismo estraneo a sé stesso.
È nell’alienazione che si conforma difatti l’opera di Pasolini e timidamente la sua figura umana. Estraneo alla borghesia, certo, ma anche ai morigerati costumi del Partito Comunista; sì, critico verso i mezzi di comunicazione eppure finemente legato a essi. Si desiderasse procedere per parole chiave, si potrebbe proporne di numerose e ognuna valida per un motivo preciso: corpo, ad esempio, come luogo della lotta e della doppiezza; nudità, per esplicazione e spettacolo di sé; furore, come delirio erotico e movimento politico.
L’Orgia della Storia, l’Orgia del racconto
Troppo spesso ci si dimentica, a causa della poca rilevanza ch’ebbe l’elemento teatrale nella sua opera, che Pasolini fu autore di alcuni testi drammaturgici, il cui sguardo si posava sui tragici della Grecia antica, il lamento funebre di Euripide insieme con la ricerca della particolarità dentro l’animo umano di Sofocle. Così Orgia, dramma a sette atti e due voci. L’aurora di due esistenze che si confondono dentro un dialogo ammanettato al presente risplende della violenza quotidiana, simmetrica.
In esso, lo spettro della nostalgia, l’ineffabile ieri. “Domani, e poi domani e poi domani”, sospira Macbeth di Scozia dopo aver appreso della morte della sposa. La nostalgia per un mondo lontano, rozzo e tacitamente fascista, si riscopre dietro la quotidianità: la coppia non è che un unico corpo perduto dentro la Storia; una Storia, tuttavia, immobile attraverso cui le figlie divengono spose e i figli padri assumendo memoria di intere generazioni. Il pregio? Abitare un tempo del fare.
Il fare e il non fare eternamente immobili
“Là noi comunicavamo tra noi solo facendo qualcosa”, questi i ricordi che i due si scambiano e che lavorano per un’immagine, meglio, un idolo cui muovere sacrifici. Come dire? In uno, l’intera nazione. Oltre l’eterno ritorno teorizzato da Nietzsche: l’eterno immobilismo.
Naturale che in tale economia i figli non possano che indossare la maschera dell’avvenire, non soggiacere all’ennesimo corpo che dal passato tradisce clamorosamente il progetto. La nostalgia incombe sul desiderio, non può che costringerlo a una terra cui non è permesso alcun salto e il progetto dell’esistenza si annichilisce sotto un imbarbarimento travestito da borghesia.
Il profilo è quello di un essere-per-la-morte così come teorizzato da Heidegger in “Sein und Zeit”: una totale presa di coscienza della propria condizione. La relazione è esposta a una confessione: dire di sé ogni cosa all’amante e conoscere del proprio corpo ogni centimetro.
“Della doppia che sono parte la voglio sapere, parte non la voglio sapere”, confida la donna dimostrando di fatto la propria schizofrenia matrimoniale: nello specchio che è il suo uomo, lei non può che riconoscere una parte che le appartiene e che ella non percepisce, così lui, pur nel proprio delirio edificato nei luoghi del furore, non può che soccombere all’impotenza del corpo dinanzi alla vita. “Se questo è morire, ecco qua, la prendo con rassegnazione… non penso a nulla”.
Un saggio sul corpo
Il corpo che non si riconosce come tale non ha bisogno che di esplorarsi. Invece che un’opera teatrale, il testo si riscopre dunque come un saggio, al pari di quelli che il barone di Montaigne redige tra il 1580 e il 1588.
Al saggio è sottesa una prova, il fare di sé stessi soggetto di mani che scoprono, indagano, percuotono. Donde la violenza, innanzitutto un progetto, il solo di cui si possa costruire un dialogo, sia tra le parti in lotta (nella confusione di vittima e carnefici) sia tra quelle e l’immaginario. “Andrò di là e ucciderò nostro figlio più grande”, confida lui; “Agisco prima di aver deciso?”, si interroga lei appena prima di muovere gli ultimi passi; una violenza che nel risolversi muta al tempo futuro il gioco millenario del potere.
Spiragli? Il candore di una giovane prostituta che nella propria incapacità di intendere quel mondo, lo osserva col sorriso del bambino o dell’idiota alla cui presenza si conforma il male e poco importa sia esso quello dell’avvenire oppure di un tempo lontano.
Antonio Iannone
BIBLIOGRAFIA
M. DE MONTAIGNE, Saggi, Bompiani, Torino 2012, trad. it. F. Garavini.
M. HEIDEGGER, Essere e Tempo, Longanesi, Milano 2007, trad. it. P. Chiodi.
P. P. PASOLINI, Orgia, in Tutte le opere. Teatro, A. Mondadori, Milano 2001.