Il cinematografo: un’invenzione in un secolo di invenzioni
Prima di parlare di cinema muto, bisogna parlare di cinematografo. È tendenza comune quella di considerare il cinema muto come uno dei tanti aspetti dell’odierno cinema cui siamo abituati. Come fosse una sua branca, un genere che gli appartiene imprescindibilmente. Questo è un errore di sottovalutazione. Il cinema muto è un fatto a sé. Sarà anche partito come prototipo, ma osservando il fenomeno “cinema” nel complesso si evince che le due esposizioni artistiche si distanziano nettamente.
Ma procediamo con ordine: siamo alla fine dell’ottocento e si appropinqua il nuovo secolo, verso cui l’uomo ha grandi aspettative, come accade sempre con il futuro.
Quelli che un tempo avremmo romanticamente chiamato inventori, per una questione pratica (e per evitarne il discredito in ambito di analisi) li definiremo “scienziati”. Un’invenzione è un dato di fatto: la si può vedere, toccare, utilizzare. Ma la questione include anche un fattore quasi magico; è una cosa che prima non c’era e poi c’è. È quindi una cosa che è stata pensata, immaginata e trasformata in realtà: è un sogno. È un sogno dello scienziato, per antonomasia personaggio pragmatico, il che accredita l’invenzione della giusta dose di verità. Così andò anche per il cinematografo.
Già in questo preambolo si struttura la polarità che rende al cinema ancora oggi un enorme potere incantatore: mezzo scientifico in grado di offrire magia. Macchina tra le macchine, in un periodo di scoperte: il cinematografo fra il treno a vapore, il motore a scoppio, lo sviluppo delle industrie, la macchina fotografica.
Ed è da qui che bisogna partire: dalla macchina fotografica. La cinepresa non fu per nulla un obiettivo unico ed immediatamente conseguito. Per circa un secolo si susseguirono diversi passaggi nel tentativo di raggiungere l’immagine in movimento.
L’immagine di per se già esisteva dal 1839: la macchina fotografica era in grado di catturarla, ed in quello scatto aveva il potere magico di fermare il tempo. Ora, se quel tempo si fosse potuto gestire la magia avrebbe raggiunto la perfezione.
Quasi contemporaneamente alla macchina fotografica furono inventati una serie di strumenti utili a fornire l’illusione ottica del movimento attraverso sequenze di immagini in rapida roteazione: fra questi, il fenachistoscopio e lo zootropio. È su quest’ultimo che Reynaud iniziò a lavorare, appurando delle modifiche che nel 1876 generano il prassinoscopio (uno zootropio con al centro un dispositivo di specchi che proiettano una serie di immagini non distorte).
Edison, nel 1894 espose il suo kinetoscopio, una macchina oscura in grado di mostrare un susseguirsi di immagini e quindi il loro movimento, che però permetteva l’accesso alla visione solo ad una persona alla volta.
Il breve e riduttivo excursus ci insegna che coloro che da sempre vantano la paternità del cinematografo, non lo hanno propriamente inventato.
I cari vecchio fratelli Lumiere hanno però, come gli altri, partecipato al suo sviluppo: loro ebbero la lungimiranza di capire il potere di intrattenimento ed aggregazione del cinematografo, per cui lo capitalizzarono. Furono i primi ad organizzare una proiezione pubblica e a pagamento, in un cafè di Parigi.
Comprensibile che nel 1895 nessuno avesse ben chiaro come interpretare quel nuovo fenomeno: il pubblico era impreparato, ma attratto dalla novità; questa era talmente innovativa che lo spaventò. Alla vista di un treno che gli si fiondava addosso, scapparono tutti dal cafè.
Abituati al teatro come unica forma spettacolare, quella verità così tangibile non potevano comprenderla immediatamente.
La possibilità di riprodurre un azione, di ripeterla fuori dal suo tempo, di farlo in luoghi diversi e contemporaneamente era la reversibilità del tempo, l’eternità e l’ubiquità: magie.
A questo però non arrivarono, inizialmente, i Lumière: compresero il germe di spettacolarità del cinematografo tanto da farne esibizione, ma non che questo germe andava amplificato. Per loro si trattava ancora di un’invenzione di cui avevano una lettura scientifica: una lente d’ingrandimento sulla realtà, con la capacità di valorizzare dettagli che nel quotidiano passavano indifferenti, ma che sul telone, per le dimensioni, per la prepotenza dell’immagine, per l’attenzione all’oggetto, acquistavano valore. Per cui il cinematografo delle vedute Lumiere era fatto di gente comune, passanti, avvenimenti della realtà, oggetti consueti; accadimenti che porterebbero la riflessione, che avrebbero qualcosa da esprimere, solo se ci si soffermasse. Ecco, il cinematografo era il mezzo per proporre al pubblico di soffermarvisi. Una sorta di neorealismo inconsapevole. Frattanto, la figura dell’attore specializzato resta legata al teatro, ma ancora per poco: il fermento che si andava concentrando intorno al nuovo mezzo e tutte le possibilità di espressione che da quello si potevano ricavare era appena iniziato.
Letizia Laezza