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Ino: il ricordo del “sommo poeta”
Le parole che usò Dante Alighieri per ricordare i tristi avvenimenti di Ino ed Atamante, maledetti da Hera, per aver accolto nella loro famiglia quel Dioniso avuto dal re degli dei e da Semele, sono queste:
Nel tempo che Iunone era crucciata
per Semelè contra ’l sangue tebano,
come mostrò una e altra fïata,
Atamante divenne tanto insano,
che veggendo la moglie con due figli
andar carcata da ciascuna mano,
gridò: “Tendiam le reti, sì ch’io pigli
la leonessa e ’ leoncini al varco”;
e poi distese i dispietati artigli,
prendendo l’un ch’avea nome Learco,
e rotollo e percosselo ad un sasso;
e quella s’annegò con l’altro carco.
Prima di proseguire col mito di Ino, occorre fare una piccola digressione.
Da Issione a Nefele, Frisso ed Elle
Issione era il re dei Lapiti, popolo della Tessaglia, convolò a nozze con Dia, la figlia di Deioneo, re della Focide.
Il lapita organizzò una trappola per il suocero: lo invitò ad un simposio e nei pressi della reggia lo fece cadere in una fossa piena di carboni ardenti, e quivi Deioneo morì bruciato. Mostrando pentimento, Issione riuscì ad ottenere il perdono di Zeus, padre del defunto sovrano della Focide. Fu talmente abile da ottenere l’invito di Zeus per sedersi a tavolo con gli olimpi; quivi conobbe Hera e se ne innamorò.
Il Padre Celeste, avendo capito le sue intenzioni, mise il lapita alla prova facendogli credere che la sua sposa gli volesse parlare in privato. Issione, così alticcio, sfruttò quest’occasione per avere un coito con la dea in una stanza apparati. Non appena Issione ritornò sobrio, s’accorse di aver fatto sesso con una nuvola antropomorfizzata e che Zeus lo aveva ingannato, così venne punito severamente.
La nuvola prese il nome di Nefele e, dopo aver partorito Centauro, il padre di tutti i centauri, venne data in sposa ad Atamante, il re di Orcomeno, una città della Beozia che contendeva l’egemonia della regione con la “Cadmea” dei cadmididi. Dalla loro unione nacquero due bambini, Frisso ed Elle. Il matrimonio di Atamante e Nefele però fu molto infelice per via del disprezzo provato da quest’ultima nei confronti del marito e dei figli, quindi la ripudiò per sposare Ino, la figlia di Cadmo, in modo tale anche da superare le divergenze con la futura casata tebana.
La vendetta di Hera
Nefele così ritornò sull’Olimpo e protestò con Hera per l’oltraggio subito, così la dea tenne sotto osservazione Atamante, in attesa di mettere in atto la sua vendetta. Quando la dea venne a sapere poi della relazione di Semele, del figlio avuto con suo marito e dall’affidamento di Dioniso ad Ino che nel frattempo è diventata madre di Learco e Melicerte, mise in atto una terribile vendetta.
La dea diffuse nell’animo di Ino la gelosia verso i suoi figliastri per l’eredità del trono di Orcomeno (ovviamente Frisso ed Elle sono i primi in linea di successione) ed elaborò così un piano per sbarazzarsene.
Le donne di Beozia, dietro ordine della stessa Ino, lasciarono disseccare i semi del grano per compromettere il raccolto dell’anno seguente facendo così cadere il Paese in una terribile carestia. Atamante preoccupato inviò dei messaggeri per consultare l’oracolo di Delfi, ma questi furono corrotti da Ino e portarono al re un falso responso, ovvero che il Paese avrebbe potuto salvarsi dalla carestia solo se venisse immolato suo figlio Frisso.
A malincuore, Atamante accettò il finto verdetto. Il bambino pregò la madre Nefele affinché evitasse questo sacrificio, così la dea mandò un ariete dal vello d’oro per metterlo al sicuro. L’ariete così si fiondò sulla cerimonia, mise a soqquadro tutta la sala del ricevimento, prese Frisso ed Elle mettendoseli sul dorso e scappò prendendo il volo. I messaggeri, allibiti da tale manifestazione ed avendo capito che le divinità erano alterate con loro per aver dichiarato il falso, confessarono tutto al re.
La pazzia e l’esilio di Atamante
Non essendo ancora sazia di vendetta, Hera si recò negli Inferi per incontrare le Erinni. Non appena la videro arrivare, Aletto, Tisifone e Megera (i loro nomi) balzarono in piedi per riverirla. Hera così espose il motivo del suo viaggio nell’Oltretomba alle tre e Tisifone la rassicurò con queste parole: “Non c’è bisogno di molti giri di parole, ma credi già attuati i tuoi ordini.
Lascia questo regno sgradevole e ritorna ai luoghi celesti, migliori di questo”. Soddisfatta, Hera ritornò a casa e Tisifone così partì alla volta di Orcomeno. Giunta a destinazione, Tisifone strappò dalla sua chioma due serpi e li lanciò sul petto di ambo i coniugi che penetrarono nella loro carne.
Poco dopo Atamante cominciò a gridare all’impazzata contro Ino: “Su, compagni, stendete le reti in questi boschi! Poco fa qui ho visto una leonessa con due cuccioli”. Atamante così strappò Learco dal seno della madre, la fece roteare per due/tre volte in aria e la sbattè violentemente con la testa su un duro macigno della reggia. Ino, anche lei impazzita, prese Melicerte e scappò via dalla reggia urlando a squarciagola: “Evoè Bacco” (in riferimento a Dioniso).
Arrivata sull’alto di una scogliera, si gettò con il figlio e morirono insieme annegati. Afrodite, nonna di Ino, però ebbe pietà dei due e supplicò Poseidone di mutarli in divinità. Il dio così accolse nella sua schiera Leucotea (Ino) e Palemone (Melicerte).
Atamante, bandito così dalla sua terra per l’infanticidio, chiese consiglio all’oracolo di Delfi su dove potersi stabilizzare, e gli fu risposto: “Là dove le bestie da preda t’inviteranno a cena”. Atamante così con un piccolo gruppo di persone partì verso Nord, direzione Tessaglia senza mangiare per parecchi giorni.
Improvvisamente s’imbatte in un branco di lupi che banchettavano con delle pecore. Questi, vedendo della gente armata arrivare, scapparono lasciando il resto del cibo a quella compagnia. Quivi Atamante ricordò la profezia dell’oracolo e fondò una nuova città che prese il nome di “Alo” e la regione “Atamatia”.
Marco Parisi
Bibliografia:
- Dante Alighieri, La Divina Commedia, Inferno
- Robert Graves, I miti greci, Longanesi & C.
- AA, VV, Miti degli dei e degli eroi, Gherardo Casini Editore
- Ovidio, Le metamorfosi, IV libro, UTET