Kynodontas: la famiglia come metafora del potere

Yorgos Lanthimos (Atene, 27 Maggio 1973) è un regista greco, divenuto famoso per aver conseguito il Premio della Giuria al Festival di Cannes del 2015 con il film The Lobster. Nonostante questo sia stato il suo riconoscimento più prestigioso, l’autore era già conosciuto per aver vinto a Cannes nel 2009 nella sezione Un Certain Regard con la sua terza opera Kynodontas.

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L’inferno asettico di Kynodontas

In un indefinito presente, due sorelle e un fratello vivono segregati all’interno della villa di famiglia. I tre sono ormai maggiorenni ma vengono trattati ancora come infanti dal padre e dalla madre. Questi li sottopongono ad un ferreo regime educativo, nel quale non è previsto alcun contatto col mondo esterno. I tre potranno uscire solo nel caso in cui raggiungeranno la maturità, in seguito alla caduta di un dente canino.

L’unico momento di avvicinamento con ciò che è fuori è rappresentato dalla visita di una donna, Christina, assoldata dal padre per far accoppiare il figlio maschio.

La logica che guida il genitore è, infatti, quella di un addestratore, che pone i figli in una dimensione oggettiva, tentando di manipolarne le menti e i comportamenti. I personaggi, infatti, (tranne Christina) non vengono mai chiamati per nome, ma solo tramite il loro ruolo nella famiglia: particolare, questo, che ne accentua maggiormente la spersonalizzazione.

La riduzione degli esseri umani ad animali è sottolineata in una delle prime scene, nella quale il padre si reca in un allevamento di cani, luogo che diviene metafora di tutto il film. Come per i cani, per esempio, il sesso che vediamo non lascia spazio a nessun sentimento umano, ma diventa semplice espletazione di un bisogno fisiologico.

L’ambiente protetto che i genitori hanno creato per i figli è garantito da un sistema quasi perfetto, assicurato da due metodi di assoggettamento: la paura e il linguaggio. I tre ragazzi hanno un fratello (della cui reale esistenza non è dato sapere) che è scappato dalla villa e, a causa di ciò, è stato divorato da un enorme belva: un gatto. La paura di ciò che non si conosce, tuttavia, non è la prima metodologia utilizzata dal padre addestratore.

Il padre sporco del sange del fratello, ucciso da un gatto

Nella prima scena del film possiamo osservare un mangianastri, dal quale viene riprodotta una voce (che scopriremo essere quella della madre), intenta a “svelare” il significato di alcune parole: il mare è “una poltrona in cuoio con braccioli in legno”, l’autostrada è “un vento molto forte”, l’escursione è “un materiale per fare pavimenti” e la carabina è “un uccello bianco”. Lo svuotamento di significato delle parole, che rimandano all’ambiente esterno, è la tecnica più efficace di manipolazione.

Se, riprendendo Wittgenstein, “i limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo”, possiamo comprendere il meccanismo di assoggettamento linguistico dei genitori, che riducono qualsiasi parola ambigua a qualcosa riguardante l’ambiente domestico. D’altronde, non può che venirci in mente 1984 di Orwell e la sua “neolingua”, che rende impossibile qualsiasi altra forma di pensiero che non sia quella dominante.

Il riferimento ad Orwell non è casuale, poiché tutto il film appare una grande metafora sul Potere. Si tratta di una riflessione su come l’autorità ci sottoponga a continui lavaggi del cervello, costruisca le nostre concezioni mentali tramite l’uso ragionato di linguaggi specifici e sempre mediati.

Il microcosmo familiare, che è il primo ambiente in cui le persone vengono represse dai genitori, diviene specchio di una società in cui l’unica preoccupazione è la sicurezza e la creazione di un ambiente confortevole, a scapito dei diritti e della libertà.

Kynodontas: il sistema non è perfetto

Tuttavia, secondo l’autore, tale sistema non è infallibile. La spinta dei figli a liberarsi dal giogo genitoriale appare in una serie di particolari: alcuni impercettibili, altri più evidenti. Il figlio maschio si dirige continuamente nei pressi del muro di cinta, lanciando oggetti oltre la recinzione e sperando che il fratello scappato risponda. La figlia più piccola, per esprimere la sua grande passione per la medicina, ferisce di proposito il fratello con un martello e, in seguito, gli fornisce le dovute cure.

La vera falla nel sistema è rappresentata, però, da Christina. La donna viene pagata per soddisfare sessualmente il fratello, ma ha mire espansionistiche sulla figlia maggiore e comincia a farle regali in cambio di prestazioni sessuali. A causa sua, la prima figlia scopre la differenza tra verità e menzogna: la donna le regala un cerchietto per capelli che dovrebbe essere fosforescente al buio, ma che, in realtà, non lo è.

Per tenere la bocca chiusa sui loro incontri, quindi, la maggiore le chiede delle videocassette: Lo squalo, Rocky e Flashdance.  È grazie al cinema che la realtà entra nella aberrante nucleo familiare. La figlia maggiore comincia a costruire la propria identità, facendosi chiamare “Bruce” (il nome delle squalo di Spielberg) e ballando come Jennifer Beals in Flashdance. Solo il cinema, che può creare altri mondi e aprire nuovi orizzonti, permette di uscire dalla realtà anestetizzata in cui si vive.

Il contenuto asettico è rispecchiato dalla tecnica di ripresa. Le inquadrature fisse riproducono la staticità e l’immutabilità della situazione familiare. Il tempo non è scandito, come se ci si trovasse in un Limbo grottesco e inquietante. La fotografia è fredda.

Per tali caratteristiche si ha la tendenza ad accostare Kynodontas al modo di fare cinema di Haneke (Il settimo continente, Funny Games). Tuttavia, per quanto riguarda il contenuto troviamo numerosi precedenti: da The Village di Shyamalan a Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pasolini.

di Giuseppe Mele

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