Parlare del teatro latino in età imperiale non è mai semplice. Dalle fonti, infatti, traspare una grande crisi del genere, sopraffatto da un tipo di spettacolo un po’ più particolare: il pantomimo. Esso consisteva nella recitazione di un solo attore, volta a divertire il pubblico insistendo per lo più su aspetti osceni, nonostante il contenuto mitico che, generalmente, era tenuto a rispettare. Del teatro classico e arcaico, insomma, nulla era sopravvissuto; della tragedia, men che meno, visto che gli unici nomi che conosciamo in questo mondo in epoca latina sono Accio e Pacuvio. Eppure, un rinnovamento del genere teatrale doveva arrivare, inaspettatamente, da chi sembrava il più lontano possibile dai divertimenti mondani: un filosofo, Seneca.
Le tragedie di Seneca
Le tragedie di Seneca sono per noi un tesoro inestimabile. Sono, infatti, gli unici drammi giuntici interi da un universo, Roma, che di teatro ha fatto ben poco rispetto ad Atene. Non tutti i drammi scritti dal filosofo sono arrivati fino a noi, ma il loro numero è già sorprendente: nove, più una decima spuria (di cui parleremo), attribuibile tuttavia ugualmente all’ambiente di Seneca.
Le tragedie sono definite “cothurnatae”, cioè di ispirazione greca (il nome, infatti, indica il sandalo rialzato che gli attori, ad Atene, vestivano per sembrare più alti). Questo aspetto rende il tutto ancora più interessante, in quanto i drammi non solo gettano luce sul teatro latino, ma anche sui rapporti che esso aveva e doveva aver avuto in passato con quello greco.
Particolari sono anche i soggetti che Seneca decide di reinterpretare. Sono infatti i giganti della tragedia attica: Agamennone, Medea, Fedra, Tieste, Eracle, che vengono però investiti dalla riflessione filosofica senecana, quasi a diventare eroi di un nuovo mondo. I drammi che vivono i personaggi, infatti, non sono più quelli al centro della riflessione di un Eschilo o un Sofocle, non sono più concreti e tangibili, ma vengono “interiorizzati”, e si trasformano nei mostri della psiche umana.
II teatro si dipinge di “nero”
Ecco perché Seneca sembra maggiormente debitore ad Euripide e al suo thumòs, che ora diventa filosofia: quel “male” indecifrabile, quel lato nero dell’uomo senza nome che il tragediografo greco aveva con coraggio messo in scena, adesso prende forma, diventa meno labile, e si identifica con la riflessione di Seneca svolta nei trattati e nelle “Epistulae”.
Esso è, insomma, il Nero, la Morte, il Male, macchia e fango che l’eroe tragico, filosofo destinato di per sé al suicidio, inutilmente rifugge. Le tragedie senecane, dunque, come si può immaginare, destarono grande scalpore sul momento: in un’epoca corrotta come quella primo imperiale, età di liberti, eunuchi che sulla scena si muovevano, danzavano e cantavano senza ritegno, Seneca fa la scelta di tradurre la filosofia in teatro, di renderla concreta, e contemporaneamente dare nuova linfa vitale ad un genere già da tempo in crisi.
Tragedie lette o recitate?
È chiaro che un teatro così difficilmente poteva essere rappresentato. Scene spettacolari, spaventose, macchinose non potevano essere realizzate con i mezzi dell’epoca, dunque la critica tende attualmente a credere che le tragedie fossero destinate principalmente alla lettura.
Altri, invece, sottolineando proprio la macchinosità di alcuni passi, credono che sarebbe stato inutile inserirle nel testo senza poi rappresentarle in scena, unico luogo in cui potevano avere giustizia e davvero sconvolgere lo spettatore, svolgendosi davanti ai suoi occhi.
Il messaggio politico delle tragedie senecane
Che sia valida l’una o l’altra ipotesi, il teatro senecano resta comunque l’unica fonte certa che abbiamo sul teatro imperiale, ormai appannaggio di quei pochi viri sapientes et boni che noi immaginiamo chiusi nelle loro biblioteche private a leggere drammi e a trarne il loro messaggio filosofico e politico insieme, mentre fuori impazzava l’avidità e la follia di senatori, cavalieri e dello stesso Nerone.
Alla violenza si risponde sempre con la filosofia: è forse questo che Seneca voleva sussurrarci, nascondendolo tra le righe o dietro a un sipario.
Alessia Amante