Alcesti è la protagonista della prima tragedia euripidea di cui noi abbiamo testo. Rappresentata probabilmente nel 438 a.C. in occasione delle Grandi Dionisie, è un dramma unico nel suo genere.
Indice dell'articolo
La tetralogia tragica
Le tragedie non erano mai rappresentate singolarmente negli agoni poetici: ogni tragediografo proponeva una tetralogia, cioè l’unione di tre tragedie e un dramma satiresco. Le tre tragedie si susseguivano l’una dopo l’altra, e rappresentavano il momento di riflessione e “educazione” per la polis, inscenando i valori della civiltà greca e invitando a discutere su temi quali dolore, morte, eroismo.
Il dramma satiresco, invece, era posto in ultimo per permettere al pubblico di “rilassarsi” e scaricare gli umori accumulati durante la visione delle tre tragedie. Esso, dunque, aveva un carattere per lo più comico, o prevedeva in ogni caso un lieto fine. L’Alcesti è, appunto, uno dei tre drammi satireschi attribuibili ad Euripide, in quanto tragedia a lieto fine.
La trama dell’Alcesti: il sacrificio della donna
Il mito di Alcesti e Admeto è molto conosciuto: Admeto, sposo di Alcesti, ha ottenuto da Apollo l’immortalità, avendo trattato dignitosamente il dio in casa sua. La possibilità di vivere in eterno, tuttavia, ha un costo: al momento della morte, Admeto potrà scamparvi solo se qualcuno vorrà sacrificarsi per lui. Tutti però si rifiutano.
Admeto, preso da un momento di grande egoismo, si reca dai genitori anziani, pregando che uno dei due muoia al posto suo: hanno vissuto a lungo, hanno attraversato il matrimonio, hanno dato dei figli alla città, cos’hanno ancora da fare? Il padre, tuttavia, tuona contro di lui affermando che la vita è sempre preziosa, e merita di essere vissuta ad ogni età, anche per chi ormai è vecchio.
Admeto, sdegnato, punta il dito contro il genitore accusandolo di egoismo, in quanto col suo atteggiamento costringerà Alcesti a morire. La moglie, infatti, è pronta a sacrificarsi per Admeto. Il marito, senza sbattere ciglio, accetta questa condizione, con un’indifferenza iniziale che sconvolgerebbe chiunque. Admeto crolla solo al momento decisivo: Thanatos, la morte, è arrivata a prendere Alcesti, e la donna, senza forze, si fa promettere da Admeto che egli non avrà altre donne dopo di lei, e proteggerà i loro figli. Admeto, in lacrime, lascia andare la moglie, pentendosi solo in quel momento del suo profondo egoismo.
Il colpo di scena: l’arrivo di Eracle
La casa, ormai in lutto, è sconvolta poco dopo da un arrivo inaspettato. Eracle, personaggio canonico del dramma satiresco, rappresentato sempre come mangione e ubriaco, arriva barcollando presso la casa di Admeto. L’uomo accoglie l’eroe senza confessargli l’accaduto, per non metterlo in imbarazzo: gli annuncia soltanto che non potrà stare spesso con lui a causa del lutto che sta portando per una consanguinea morta da poco. Eracle, così, è libero di divertirsi in casa di Admeto.
Una sera, ubriaco, Eracle viene rimproverato da un servo di Admeto, il quale gli fa notare che il suo comportamento è davvero inopportuno nei confronti del padrone di casa, che sta soffrendo per la morte di sua moglie. Eracle, così, colpito dalla gentilezza dell’uomo che lo ha accolto senza metterlo in difficoltà, decide di ricambiare. Egli in persona, l’eroe panellenico per eccellenza, scenderà nell’Ade per recuperare Alcesti e riportarla da suo marito. Prima, però, deve testare la sua fedeltà: Eracle confessa ad Admeto di aver vinto una donna ad un agone, una fanciulla bellissima, che potrebbe lenire il suo dolore. Admeto, però, ha orrore a toccarla, e ricorda la promessa fatta alla moglie defunta. Solo allora, provato l’amore di Admeto per Alcesti, Eracle svela l’identità della donna: è la moglie che si è sacrificata per lui, un uomo che solo dopo averla persa ha compreso l’intensità del suo sentimento.
Alcesti, imperfetta nella sua perfezione
A parte il lieto fine, che Euripide impiegherà anche per altre tragedie, l’”anomalia” più evidente di tale dramma sta proprio nella figura di Alcesti. Dopo l’Alcesti, infatti, seguono le tragedie incentrate attorno a Medea e Fedra, due donne sconvolgenti, dal carattere monumentale, capaci di gesti inimmaginabili. Le donne protagoniste di Euripide saranno sempre dei giganti: forti, omicide, vittime, capaci di azioni e sentimenti straordinari, preda dei loro sentimenti, soprattutto quelli estremamente negativi.
Mettendo a confronto Alcesti, la donna perfetta, con Medea, la madre assassina, o con Fedra, la moglie vittima del suo immenso amore sbagliato, sembra quasi di non parlare dello stesso tragediografo. Il potere delle tragedie di Euripide è proprio il modo in cui il poeta riesce a scandagliare l’animo umano, mettendo a nudo debolezze, istinti, impulsi che ognuno di noi ignora, ma che segretamente muovono le nostre azioni.
Medea e Fedra saranno sicuramente due personaggi negativi, ma il loro “compito” lo svolgono a pennello: lasciano traccia negli spettatori. Che si inscenino personaggi estremamente positivi o estremamente negativi, l’obiettivo della tragedia resta lo stesso, cioè insegnare qualcosa allo spettatore, e aiutarlo a purificarsi colpendo il suo animo. Alcesti, da questo punto di vista, è un personaggio troppo “finto” per un conoscitore dell’Uomo come Euripide: troppo perfetta, troppo buona, troppo generosa, capace di perdere la vita dopo una sola parola del marito. È una donna irreale, imperfetta nella sua perfezione.
Altrove Euripide sarà capace di scatenare meglio sulla scena la potenza del thumòs, l’impulso, soprattutto nei suoi immortali personaggi femminili. Che si tratti di incontrastabile amore o irrefrenabile vendetta, le donne sono ideali per rappresentare la potenza del sentimento umano. E questo Euripide l’aveva già capito.
Alessia Amante