David Burnett è uno dei pochi fotogiornalisti a poter vantare di aver catturato, nella sua carriera, ogni presidente americano degli ultimi 65 anni: dalle parate di statisti iconici come John Fitzgerald Kennedy, alla caduta di presidenti come Richard Nixon, fino all’elezione di Barack Obama, primo presidente afro-americano della storia degli Stati Uniti. Burnett è sempre stato presente, pronto a catturare l’attimo o, come preferisce dire, quel particolare “momento di niente” che rende unica e intima l’azione.
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“Uno sguardo fugace, un gesto, uno squarcio di luce. Quelle sono le cose che si devono sfruttare al fine di elaborare le immagini che superano l’immaginario“.
Il ruolo del fotogiornalista è quello di dare testimonianza del momento, quindi di fermare ciò che è significativo, e, se è possibile, qualcosa che sia in grado di descrivere la personalità di chi o cosa si sta rappresentando.
Nel caso della politica, ribadisce che non bisogna lasciarsi guidare dalle proprie ideologie, ma lasciare che i candidati siano liberi di esprimersi, mentre il fotografo deve solo guardare. Per quanto i presidenti vorrebbero controllare la loro immagine, spetta ai fotografi scattare la realtà dei fatti, immagini oneste, che finiranno per essere considerate come la storia visiva della politica del nostro tempo.
Andare dove è la Storia
David Burnett nasce Salt Lake City, Utah, nel 1946. La sua passione per la fotografia sboccia tra i banchi di scuola, quando a 16 anni decide di collaborare per l’annuario scolastico. In molte sue interviste ricorda “la magia” di vedere un pezzo di carta bianca che si trasforma in una fotografia, un’emozione così forte che lo porta a prendere la decisione di far diventare quel gioco un mestiere. Inizia a lavorare come freelance per il Time, e più tardi per la rivista Life nel 1960.
Nel ’70, incontra l’amico John Olson, un giovane fotografo del LIFE di ritorno da Saigon, e sentendo che c’era ancora un sacco di lavoro per i liberi professionisti in Vietnam, decide di andare “dove era la storia”. Lascia l’America i primi di ottobre, acquistando un biglietto di solo andata per Saigon, con l’intenzione di fermarsi un paio di settimane. Rimane invece due anni, e in questo periodo ha le sue prime pubblicazioni importanti tra cui la copertina sul Time dei rifugiati pakistani in India.
Dopo gli anni in Vietnam, e la scomparsa del settimanale Life, entra a far parte dell’agenzia fotografica francese Gamma, e successivamente, nel 1975, co-fonda la Contact Press Images, a New York.
Lavora in oltre 70 paesi, documentando il colpo di stato in Cile nel 1973, la rivoluzione in Iran del 1979, la carestia in Etiopia nel 1984, la caduta del muro di Berlino 1989, e l’intervento militare degli Stati Uniti ad Haiti nel 1994.
La rivoluzione in Iran
Tra questi lavori la Rivoluzione in Iran del 1979 è uno dei suoi reportage più intensi e carichi di preoccupazione, oltre per la difficoltà e pericolosità durante le sommosse, anche per la complessità di far recapitare gli scatti alla rivista Time. In questo periodo lavora accompagnandosi al fotogiornalista Olivier Rebbot del Newsweek, soprattutto perché sono anni in cui in Iran si preferisce non rimanere da soli, e il suo giovane amico, infatti, non riuscirà a tornare a casa. I due fotografi rimangono spesso in giro per Teheran fino alle 6 del mattino, orario in cui si recano in aeroporto e iniziano a vagare nella sala partenze, alla ricerca di un passeggero disposto a prendere i loro scatti e portarli a Parigi o Londra o in qualche altro luogo lontano dove un corriere delle loro riviste avrebbe preso le foto, e spedite a New York.
Le Olimpiadi
Dal 1984 Burnett inizia a coprire le Olimpiadi estive, così come molte di quelle invernali.
La sua carriera di fotografo sportivo comincia alle Olimpiadi di Los Angeles del 1984 con l’immagine della caduta di Maria Decker sulla pista. Per caso Burnett si allontana dalla linea di traguardo cercando uno scatto diverso, e proprio all’altezza in cui si posiziona, la Decker, una delle donne più veloci a lunga distanza tra i corridori della storia, si scontra con Zola Budd, cadendo nel campo interno, e terminando i suoi sogni olimpionici. La foto vince il World Press Photo del 1985 nella categoria Sports.
La Sperimentazione
Da quel momento i giochi olimpici si sono susseguiti, e in alcune occasioni copre gli eventi anche con alcune fotocamere non convenzionali quali la Speed Graphic e la Holga. Burnett sostiene che sono macchine che danno la possibilità di dare una visione diversa dello stesso luogo. La velocità delle macchine digitali, che aiuta molto la comunicazione visiva e la rapidità di diffusione, viene sfruttata al massimo, ma Burnett continua a essere, prima che un fotogiornalista, un grandissimo amante della fotografia, e non smette di emozionarsi alla vista di lavori altrui e soprattutto resta un grande curioso della sperimentazione. Da qui la decisione di portare fra la sua attrezzatura di lavoro anche macchine che hanno bisogno di tempi differenti e che riescono a cogliere una diversa atmosfera.
Soul Rebel
E’ autore di varie pubblicazioni tra cui E-motion: The Spirit of Sport del 1997; 44 Giorni: Iran e il rifacimento del Mondo del 2010; e più recentemente di L’Homme Sans Gravité. Tra le altre nel 2009 ha pubblicato Soul Rebel, An Intimate Portrait of Bob Marley. Il libro raccoglie scatti fatti nel 1976 per una commissione del Time in un servizio fotografico sulla musica reggae, dove Burnett, insieme al giornalista David DeVoss, si reca alla Tuff Gong, a Kingston, per incontrare Bob Marley, ai tempi una delle nuove e più potenti icone non solo del reggae, ma anche della moderna musica popolare. Altre foto riguardano un lavoro per la rivista Rolling Stone, per la quale segue la tournee del 1977 con cui Marley promuove l’album Exodus.
I suoi riconoscimenti includono Magazine Photographer of the Year, World Press Photo of the Year, e la Robert Capa Gold Medal dalla Overseas Press Club. Ha prodotto saggi fotografici per il Time, Fortune, National Geographic, Paris-Match e la rivista ESPN. In più occasioni, è stato chiamato per far parte della giuria del World Press Photo, e ha insegnato presso il Joop Swart Masterclass nel 2007. Attualmente continua il suo lavoro di fotogiornalista.
Sito ufficiale: http://www.davidburnett.com/
Michela Sellitto