Un uomo medio: il nuovo spettacolo di Claudio Tortora
Mediocre : in origine, sinonimo di medio, riferito a cosa che per grandezza, quantità o qualità, è nel mezzo fra i due estremi.
Questa è la definizione da vocabolario dell’aggettivo che tanto ci appare un insulto, una bestemmia, una vergogna. A quanto pare, l’accezione negativa del termine è figlia di una sua cattiva interpretazione incancrenitasi nel tempo.
Ma andiamo con ordine. Al teatro Totò di Napoli, dal 26 gennaio al 3 febbraio 2017, Antonello Ronga ha diretto un testo di Claudio Tortora; la storia di un uomo medio (ma non mediocre, nella variante più banale del termine).
Luigi, interpretato dallo stesso autore, è un uomo di mezza età, padre di tre figli, tre giovani che si trovano ad affrontare i problemi dei giovani, come l’alienazione, il precariato e il conseguente allontanamento da casa alla ricerca di lavoro, o problemi di coppia, di amori che appassiscono, che vanno in standby o che faticano a sbocciare.
Ma Luigi è anche vedovo, e salvo il supporto costante dei suoi due fratelli ( interpretati da Angelo Di Gennaro e Giovanni Caputo), è tenuto a sostenere da solo i grattacapi dei figli, dei generi, e dulcis in fundo, ogni tanto ricorda anche di essere una persona e di averne di propri.
La vita gli scorre addosso, la subisce, la vede passare, ma non la vive davvero nel profondo, nelle sue gioie e nei suoi dolori; non la “gusta”, non la “assapora”, privandosi anche di quelle parentesi di leggerezza che ogni tanto non gli farebbero male, come quelle dell’abbraccio di una donna, di una stanza condivisa, dell’indossare un bel vestito e rispolverare i sentimenti da troppi anni assopiti.
Infatti, emblema costante nella sua mente è il fantasma della moglie, senza la quale si sente perduto e della quale crede di dover fare le veci, trascinandosi un carico di doppia responsabilità che lo appesantisce tanto da fargli dimenticare i suoi tempi e i suoi spazi. Ma la sua dolce, perduta metà si materializza anche sul palco, nella simpatica figurina interpretata da Renata Tafuri, creando delle deliziose scenette, se non momenti di toccante profondità, in cui questa sorta di angelo che solo Luigi riesce a percepire, cerca di mostrargli ciò che gli è invisibile agli occhi così come agli altri lo è lei stessa.
Molteplici sono gli interrogativi che restano insoluti a chiusura di sipario, imponendo ad ogni singolo spettatore l’onere di darsi una propria personale risposta: la solitudine è una scelta o una conseguenza? Quanto è giusto immolarsi all’altare del sacrificio per gli altri mentre nel frattempo la vita scorre e ci saluta da lontano? Si può consacrare un’esistenza che volge inesorabilmente verso il domani, all’idea di un passato, che amato, sofferto e anelato che sia, ormai non potrà più tornare?
Non mancano gli accenti comici ad alleggerire tale quadro di domande esistenziali; frizzanti quadretti di vita quotidiana sono frutto dei contrasti fra i tre fratelli e dell’irriverente simpatia degli attori che li interpretano.
Ma il concetto fondante viene a definirsi nello scontro ideologico fra Luigi, l’uomo medio per eccellenza, e il genero, Pasquale, ambizioso giovane avviato alla carriera politica. Nelle due figure emerge l’abisso fra chi guarda in alto, e chi guarda affianco a se. Non c’è da puntare il dito all’uno o all’altro, non c’è da appoggiare l’una o l’altra posizione: c’è solo da riflettere, su quante cose nella vita vanno in un modo per scelta, per condizione, perché così sono andate nonostante tutto, perché così dovevano andare o perché così si voleva, consapevolmente o inconsapevolmente, che andassero. Non c’è da definire chi è migliore o chi peggiore, e soprattutto non c’è mai da arrogarsi il lusso di confondere la mediocrità con la scelta precisa e mirata di una vita “normale”, nell’accezione prettamente personale che ognuno di noi da alla propria normalità.
Letizia Laezza
teatro Totò- (sito ufficiale)