Nella Napoli del ‘600 quella degli Investiganti fu una grande rivoluzione culturale. Ma quali erano i loro modelli filosofici? Quali obiettivi si ponevano?
Il ritorno a Napoli di Tommaso Cornelio, intorno alla metà del XVII secolo, aprì una nuova stagione culturale che portò alla nascita dell’Accademia degli Investiganti. Un gruppo intenzionato a superare la scolastica e i vecchi modelli culturali e scientifici, in sintonia con le nuove tendenze europee. Ma quali erano i loro modelli filosofici? E cosa univa davvero gli Investiganti?
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I modelli filosofici
Per il suo atteggiamento antidogmatico e per l’eterogeneità dei modelli (Bacone, Hobbes, Cartesio, Gassendi, Spinosa, Grozio, Galilei, Montaigne, Campanella, Giordano Bruno e altri) che pur gli Investiganti si sforzavano di seguire insieme, era inevitabile che l’Accademia finisse con l’ospitare al suo interno indirizzi diversi. A prescindere dal grado di adesione alle idee di Cartesio e di Gassendi e dal rapporto che ciascuno conservava con la tradizione e con l’aristotelismo scolastico (nonostante fosse molto criticata e derisa, diversi membri come Caramuel non superarono mai del tutto – com’è facile immaginare – l’impalcatura tradizionale), quello che univa davvero tutti i novatori era il motivo della libertas philosophandi.
Gli Investiganti e la libertas philosophandi
Un membro di spicco come Leonardo Di Capua, nel Parere, evidenziava che era proprio questo che collegava l’Accademia agli studiosi moderni che aveva eletto a guide: il “libero filosofare”, il rifiuto di porre alcun freno all’ingegno, era il segreto del loro successo. Non da meno era stata però, su questo campo, la tradizione napoletana dei Bernardino Telesio e dei Tommaso Campanella. In questo contesto, sottolineava il Di Capua, si situava la nascita della nuova Accademia composta di
«sagaci interpreti della natura» che «generosamente si opposero all’impetuoso torrente dell’abuso», che era «accresciuto di forze dal consentimento degli uomini e dall’autorità che gli aveva data il tempo». Questi esempi dovevano incoraggiare «ad una si bella impresa di liberamente filosofare» ed a far notare «quanto di liberi filosofanti e maestri le nostre scuole abbisognino» (Salvo Mastellone, 1965, p. 87).
Una pluralità di indirizzi
Secondo De Giovanni, il «rinnovamento della scienza non si legava più ad una concezione del mondo» e anche tra studiosi di indirizzo diverso poteva «stabilirsi un vero sodalizio di ricerca e di studio» basato solo sulla «fiducia in una nuova ragione critica» (Biagio De Giovanni, 1970, p. 409).
Un’impostazione così innovativa, nonostante il conformismo politico dell’Accademia, non poteva non generare contrasti destinati ad aumentare sempre più d’intensità. Se infatti per molti anni l’Accademia incontrò solo l’ostilità del cardinale Filomarino ma non quella dei gesuiti e degli ecclesiastici in genere (tanto che diversi ecclesiastici – tra cui anche alcuni gesuiti e vescovi – poterono svolgere il ruolo di ispiratori della nuova cultura), col tempo le cose si fecero sempre più difficili.
L’Accademia dei Discordanti
I nuovi medici, colpevoli di rifiutare la guida di Galeno, erano accusati di essere incompetenti e quindi pericolosi. I medici tradizionalisti fondarono addirittura una loro accademia chiamata – significativamente – dei Discordanti. La reazione contro i “novatori” finì per trovare largo consenso negli ambienti della cultura tradizionale che era ancora prevalente a livello universitario. La nuova cultura, infatti, era stata costretta a svilupparsi fuori delle istituzioni e i pochi membri che erano riusciti a farsi assegnare una cattedra – come Cornelio – erano comunque confinati ai margini della vita accademica.
Bibliografia:
De Giovanni Biagio, 1970, La vita intellettuale a Napoli fra la metà del’600 e la restaurazione del Regno in Storia di Napoli (Tomo VI*).
Mastellone Salvo, 1965, Pensiero politico e vita culturale a Napoli nella seconda metà del Seicento, Casa editrice G. D’Anna.
Ettore Barra