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Una sconfinata follia
Sia archeologica oppure antropologica quando non filosofica, qual si desideri storia della follia dovrebbe tenersi ben lontana dal tracciare confini netti che separino sani e ammorbati, ragionevoli e s-ragionevoli, facendo di una voce nient’altro che lo spettro dell’assenza dell’altra. Sia data la Ragione, allora la follia sembra non poter che manifestarsi come l’abisso dove la prima è costretta a precipitare se manchevole. Nondimeno bisognerebbe possedere la facoltà di osservare gli uomini per mezzo di molteplici occhi tenendo conto dei luoghi, culturali anzitutto, in cui egli è gettato.
Si faccia tesoro di quel metodo che Michel Foucault ha applicato, prima che alle scienze umane o agli agglomerati sociali, proprio alle costruzioni manicomiali attraverso la “Storia della Follia nell’età classica”. Uno sguardo oltre-strutturalista, dove gli elementi non soltanto appaiono quali manifestazioni d’organicità, ma in dialogo continuo, giammai immobili. Nessun “da una parte, dall’altra” come teorizzato da Roland Barthes in un articolo sull’opera foucaultiana presentato in Italia da Einaudi nella raccolta “Saggi critici”. La follia, così come interamente la società umana, non può che abitare un luogo dove sia animata dal dialogo.
L’individuo particolare
Un protagonista inedito strepita per il centro del proscenio. Da quando? Si potrebbe scrivere dall’avvento della moderna antropologia, oppure dalle analisi di Voltaire, oppure ancora dai saggi che Michel de Montaigne redige, a capo chino e schiena curva, rinchiuso sulla torre della propria dimora. Qualcuno potrebbe persino azzardare, senza che lo si tacci di nostalgia, che il cosmo intero lavori per una soltanto delle sue figure. I più scaltri, quelli che volentieri affronterebbero la Sfinge sul celebre enigma, hanno già compreso che tale protagonista non è che l’individuo umano. Individuo, certo: descritto nella propria singolarità, eppure immerso in una coraggiosa relazione sociale.
La figura che le analisi del metodo foucaultiano osservano con interesse costituisce l’uscio socchiuso sulle istituzioni, il cardine presso il quale è possibile una scienza giuridica, medica, pedagogica persino. Si leggano a tal proposito i corsi che il filosofo tiene al Collège de France, editi in Italia per Feltrinelli, oltre che le opere essoteriche: vi compaiono decine di esistenze particolari di cui fare non soltanto l’esempio, ma addirittura il pretesto per una ricerca archeologica.
Filosofia è stupefazione
“Tutto è iniziato dalla nostra stupefazione”, scrive Foucault tra le pagine della premessa a “Io, Pierre Riviere, avendo sgozzato mia madre, mia sorella e mio fratello…”(1). Per quale motivo occuparsi d’un anormale, un omicida come il giovane Rivière? Perché egli permette la meraviglia. E non è forse ciò che nella “Metafisica” Aristotele osserva come il motore della materia filosofica? Un lavoro collettivo, il “Pierre Rivière”, condotto all’interno di un seminario del Collège e reso pubblico in Italia da Einaudi, dove i ricercatori descrivono, sezionano, analizzano l’atto del giovane.
La Faucterie, comune di Aunay, 3 giugno 1835. Spalancando la porta di casa Rivière, il giudice di pace insieme con il cancelliere si ritrova al cospetto di tre cadaveri che giacciono a gola tagliata: una donna, una ragazza, un bambino. Carnefice il giovane Pierre, temperamento malinconico, ormai lontano, vestito dei propri abiti della domenica. Foucault adombra l’immagine di una follia che tenga conto degli avvenimenti, empirica, ammanettata all’esperienza. Proprio l’assassinio è allora quell’esperienza che segnala il disturbo dentro la tranquillità civile, così come l’istituzione penale si rivela l’esperienza dell’ostacolo presso l’esistenza sociale. Essa non soltanto relega, chiede conto dell’avvenimento. “Perché?” è l’interrogativo, pur sussurrato, che il potere produce rivolto all’individuo: “perché hai compiuto questo gesto?”; “perché questo e non un altro?”. Tali dispositivi operano, dunque, per la verità.
Scrittura, lucidità, follia
Con lucidità Pierre redige le proprie memorie. Stupefacente lucidità. Può, certo, una mano assassina esser guidata da animo cieco, ma una che scriva? Può la scrittura mentire? Nella fatica di cui si compone essa pare dire incessantemente la verità. Così Rivière descrive per mezzo della grafia il proprio atto, ritagliando uno spazio di ragione dentro la scienza giuridica. È allora colpevole di follia colui che scriva in tal modo, colui che lucidamente sappia squarciare il confine del senno?
Uno studio inedito sull’individuo occupa le scene del XVIII secolo, quello della psiche. È forse l’animo di un assassino deviato? Analisi dell’esperienza: si sarà pur manifestata, la sua devianza, in differenti ambienti, pur miseramente, pur simbolicamente. Ecco che di Rivière si descrivono le piccole anomalie, il tagliare la testa ai cavoli, l’ostinazione, la misofobia; esse paiono approdare naturalmente all’omicidio. Come dire che a osservar meglio e con occhio psichiatrico il ragazzetto che tutto solo crocifiggeva le rane, si sarebbe potuto già scorgerlo lacerare la gola dei familiari. Nel passato dell’individuo, lo spettro dell’avvenire.
È forse pazzo, Rivière? Dei tre medici chiamati a riferire sul suo stato mentale, due si contrappongono, al pari di quelli che osservano Pinocchio e ora lo danno per moribondo, ora per medicabile. Si manifesta dunque la voragine di una inconsueta anomalia, non solo indescrivibile ma anche priva d’ordine, di nome, di profilo. Un’anomalia priva di ragione.
Antonio Iannone
(1) D’ora in poi farò riferimento all’opera come “Pierre Rivière”.
Bibliografia
R. Barthes, Saggi critici, a c. di G. Marrone, Einaudi.
M. de Montaigne, Saggi, a c. di F. Garavini, Bompiani.
M. Foucault (a c. di), Io, Pierre Riviere, avendo sgozzato mia madre, mia sorella e mio fratello, trad. it. di A. Fontana – P. Pasquino, Einaudi.
M. Foucault, Storia della follia nell’età classica, a c. di M. Galzigna, BUR Rizzoli.