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“Era davvero orribilmente romantico”
Sono davvero poco numerose le occorrenze dove l’opera di un autore possa interamente dispiegarsi in una manciata di versi, un sussurro fulmineo che riduca finalmente al silenzio la critica. Certo, non solo da un ossimoro può essere delineato l’animo inquieto di Boris Vian, il cui profilo potrebbe fedelmente tracciarlo soltanto una rappresentazione pittorica che abbia a modello certe notti ricolme di jazz cui la Francia si è inebriata nei primi decenni del Novecento, all’ombra dei caffè e dei sospiri.
Traboccante d’energia, Vian, tanto che le poche righe dedicate alla biografia produttiva sul retro delle sue pubblicazioni non recitano che, al pari di un bizzarro bugiardino, le molteplici arti di cui s’interessava: scrittore, traduttore, compositore di canzoni, poeta, trombettista. Egli descrive con il proprio lavoro, e di lettere e di musica, quel periodo dove la costrizione alla vita è integralmente incatenata a una passione cieca per la stessa.
Boris Vian fra Eros e Thanatos
Come descrivere un secolo? Attraverso le categorie, pur soltanto teoriche, che Sigmund Freud saggia tra le pagine di “Al di là del principio di piacere”, con il quale teorizza negli anni ’20, una natura (umana prima e sociale poi) più strabica che schizofrenica, in lotta tra l’istinto pulsionale alla vita, Eros, e quello verso l’annichilimento della stessa, Thanatos. Donde una rappresentazione per cui le due anime inscenano gli sguardi di uno stesso viso sul principio della realtà. Eppure la letteratura eccede spesso la saggistica poiché non al pari dell’altra si nasconde dietro la trasparenza: abita invece l’immaginario alla stessa maniera con cui osserva l’ambiente circostante.
Esistenzialista, Vian? Certo, nessuno potrebbe tacciare d’eresia chi muova tale considerazione, soltanto però nel caso in cui l’arguto osservatore si ben disponga a tenere quel termine quanto più lontano possibile da Sartre, la cui a volte cieca austerità in termini intellettuali non permetteva ad alcun autore di fuggire le terribili maglie de “Les Temps Modernes”, la rivista di cui era ideatore (ne fu vittima anche il fine Maurice Blanchot le cui opere tiepidamente furono accolte dalla truppa degli intellettuali francesi poiché tiepidamente Sartre le aveva congedate).
L’assurda bellezza
Più vicino all’assurdità dell’esistenza che nelle opere di Camus dispiegava la propria vivacità, Vian, eppure non debilitata risulta la fuga da quella prigione cui l’individuo è relegato. Di tale robustezza, la speranza riposta nella premessa alla sua più celebre opera letteraria, “La schiuma dei giorni”, in Italia per Marcos Y Marcos, nelle “le ragazze carine” e nella “musica di Duke Ellington”. Teso alla bellezza, l’autore non può che sublimare il nichilismo dell’epoca e ritrovare, sia pur soltanto in frammenti, quel sorriso perduto verso la vita. E quando il tempo trascinerà via con la forza insieme bellezza e sorriso?
Quando la morte, quella del corpo, quella che segue la malattia e addolora i viventi, tenterà digrignando di soffocare la bellezza, di annichilirla nella mancata fioritura della vita? Colin e Chloè s’incontrano dentro un universo delle delizie, una realtà immaginaria molto più vicina a quella di certe favole che al grigiore cui si piega a volte quella comune, dove un uomo può senza problemi chiacchierare con un topo annodandosi la cravatta o un pianoforte preparare cocktail diversi a seconda del pezzo che vi si suona, eppure quello stesso universo ammette che uno dei due amanti perisca, non può tenere lontana il tormento d’animo che infesta la separazione, la ricerca disperata di un medico, di un lavoro per le cure.
Il gioco
L’azione suicida non sembra allora che l’unica a cui l’innamorato possa sacrificarsi contro la terribile verità sulla vita, non tuttavia imprecando contro essa, sfidandola a una tenzone dal vincitore dichiarato, non rinnegandola. Alla stregua degli amanti che decidono di sopravvivere insieme opponendosi a qualsiasi tempesta, pure delizia e tormento, si abbracciano verso una meraviglia che sopravviva alla malattia e al nichilismo angoscioso della morte.
È il gioco dell’assurdità dove gli altri “si pongono le domande degli altri/ e rispondono loro con le parole degli altri”, in cui “tutto è stato detto cento volte/ e molto meglio […]”, ma pure dove “un giorno/ […] /ci sarà un’altra cosa che il giorno”. E se l’altra cosa non fosse che quella nota prolungata, improvvisata contro la laidezza dell’esistenza? “Un piccolo stelo d’erba azzurra/ una goccia di rugiada/ un amore di uccellino pauroso”.
Antonio Iannone
Bibliografia
B. Vian, La schiuma dei giorni, trad. G. Turchetta, Marcos y Marcos, 2016; ID, Non vorrei crepare, a c. di G.A. Cibotto, Newton Compton Editori, 1993.
S. Freud, Al di là del principio di piacere, in Opere di Sigmund Freud vol. 9. L’Io e l’Es e altri scritti 1917-1923, Bollati Boringhieri, 1986.