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L’Esserci dal duplice corpo
Non soltanto il Re, come vuole uno scritto dello storico Ernst Kantorowitz, possiede un duplice corpo: uno assoggettato a quella legge che lo desidera inevitabilmente in via di disgregazione, teso alla morte (provenga essa da mano divina o da lama affilata); l’altro allegorico, la cui presenza si manifesta per mezzo di un costante quanto inesauribile esercizio del potere. Come dire che il secondo dei corpi sopravvive al primo, all’organismo che si fregia del proprio essere-nel-mondo. Un’analisi contemporanea sull’uomo non può esimersi (a chi legge decidere se ciò sia un bene o un male) dall’utilizzo di una terminologia heideggeriana.
Certo, il buono mago di Messkirch, come solevano canzonarlo i connazionali, descriveva le dinamiche ancestrali di commercio e Chiacchiera per promuovere un nuovo sguardo, ontologico, sull’esistenza, pontificando l’oblio della filosofia per la ricerca dell’Essere. Purtuttavia proprio quelle materie di cui Essere e Tempo si è preso gioco e da cui ha faticosamente provato ad affrancarsi, come l’antropologia o la psicologia, hanno invece trovato miglior disvelamento per mezzo di quel linguaggio che attraverso sovrabbondanza di trattini ricercava le relazioni ormai corrotte tra gli enti. Una deiezione dell’esistenza umana (“Dasein”, Esser-ci) nel mondo, sì radicata, ma priva di connotazione morale quale miglior campione della fenomenologia husserliana che desiderava conoscere verso <<le cose stesse>>.
Filosofia della medicina
V’è forse qualcosa di più stesso del soggetto umano? Di un corpo che d’un tratto nasce e si ritrova sottomesso a un’angosciante presenza della morte, la quale utilizza l’assenza per ancor più sibillinamente operare sulla sua povera? Povero Esserci! È naturalmente abbandonato il doppio, ogni cosa converge con l’altra dispiegando ampi spazi di pluralità. A volte brutali, certo, ma indispensabili. La medicina è una pratica sociale dentro cui si avverte il respiro non solo della relazione pratico-emotiva tra medico e paziente, ma della civiltà intera, la quale, chirurgicamente, lavora non per tenere insieme gli arti di un corpo bensì i frammenti della civiltà; essa è però anche una pratica filosofica, che all’oscurità della psiche oppone la luce della parola.
Il primato è quello della tecnica filosofica sulla pratica quotidiana: la prima disvela le parole della seconda e ne propone lucernari, pure soffusi e molto spesso troppo particolari che illuminano di un volto poco più che un punto del naso, l’apice delle labbra. È tale la ragione per cui un’altra tecnica, quella psico-analitica, risulta manifestarsi sia quale materia filosofica che medica. Insieme cura e retorica; esame che coinvolga contemplazione ed esercizio a un tempo.
Ludwig Binswanger e il caso del corpo desiderante
Un’indagine, dunque, per la rivelazione del trauma colpevole. Di sé, l’individuo dissemina indizi empirici, miseri, quasi impercepibili che lo sguardo dell’analista ha bisogno d’isolare dall’oceano del comportamento e descrivere filosoficamente, ovverosia donando primato all’esistenza più che all’esistente. Ormai in via di disgregazione il corpo, non più direttamente parlante, eppure ancora idolo per il discorso antropoanalitico quale proposto dallo psichiatra Ludwig Binswanger nello studio “Il caso Ellen West”. Una donna suicida, in vita inappagabile, le cui mani di continuo portavano alla bocca un’ossessione dal nome di cibo, da carezzare come da annichilire.
Una “macchina desiderante”, tal quale a quella progettata da Deleuze e Guattary nella finissima critica all’inconscio capitalista della psicoanalisi che ha nome di “Antiedipo. Capitalismo e Schizofrenia”. Ellen West non era che puro desiderio, il cibo nient’altro che il simulacro d’una brama inappagabile. Ormai ritratto dell’angoscia non sopravviveva che per i pochi momenti dei pasti: mangiare era portare il cibo alle labbra, deglutirlo; digiunare, di quel cibo, l’assenza. Insieme l’Essere e il Nulla, per cui il primo mal capitolava nel secondo e questi peggio si annullava saturandosi.
L’autentica angoscia
Autenticamente, secondo Heidegger, l’Esserci avverte angoscia quando subodora lo spettro di una morte che non soltanto accada, ma che pure lo esaurisca nella propria esistenza. Come appagare dunque la propria angoscia, quel sentimento di delusione al cospetto di un’identità incompiuta? Esaudendo il turbinio di ambizioni che il mondo nega, decidendo insomma per il suicidio, l’annientamento del corpo. Non è un caso se, appena prima di compiere l’ultima delle azioni, West abbia mangiato e sia stata realmente “soddisfatta di essersi nutrita” e “saziata”.
Si taccia spesso la filosofia heideggeriana di una certa anemia etica. Come dovrebbe muoversi, questo benedetto Esserci, nel-mondo? Come potrebbe agire? Donde il tentativo della materia antropoanalitica la quale proprio con Binswanger cerca di tenere insieme psicoanalisi e analitica esistenziale, al fine di disvelare prospettive inedite e più autentiche sulle patologie psichiche del soggetto umano. “L’antropoanalisi”, scrive Binswanger, “non si accosta all’essere-uomo sulla scorta di una teoria, ma lo considera al di fuori di ogni pregiudizio <<teorico>>.”. Il simbolo, su cui l’opera di Freud ha costruito una delle più temibili macchine di decodificazione, è non già immiserito dietro l’ingranaggio della terminologia heideggeriana, bensì liberato dal principio arbitrario che lo governa: raggiunge ormai l’Essere.
Antonio Iannone
Bibliografia
L. Binswanger, Il caso Ellen West, trad. it C. Mainoldi, Einaudi.
G. Deleuze – F. Guattary, L’Antiedipo. Capitalismo e Schizofrenia., trad. it. A. Fontana, Einaudi.
M. Heidegger, Essere e Tempo, trad. it. P. Chiodi, Longanesi.