Prima di Renzo e Lucia ci furono “Fermo e Lucia“, la prima edizione de “I promessi sposi” (1827). Perchè Manzoni lavorò per decenni sul suo capolavoro?
La prima edizione de I promessi sposi – composta tra il 1821 e il 1823 – si intitolava Fermo e Lucia e fu pubblicata nel 1827 (da qui il nome di edizione ventisettana). Manzoni però non si ritenne soddisfatto del lavoro e cominciò a rimaneggiare l’opera fino all’edizione definitiva del 1840 (detta quarantana). Una delle modifiche principali riguardava proprio il problema della lingua.
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L’introduzione di Fermo e Lucia
Essendo l’autore il primo a non essere soddisfatto, è proprio Manzoni che nell’introduzione si autodenuncia di aver scritto male il romanzo. La causa principale della sua insoddisfazione era la lingua, un problema che lo avrebbe ossessionato fino alla morte. Manzoni definisce infatti Fermo e Lucia come un «composto indigesto» di frasi «un po’ lombarde, un po’ toscane, un po’ francesi, un po’ anche latine». Mancava una lingua nazionale, motivo per cui in Italia il genere del romanzo sarebbe arrivato in ritardo. Perché quest’ultimo aveva bisogno di una lingua forte, mentre l’italiano era ancora solo una lingua letteraria, senza nessuna relazione con la comunicazione ordinaria.
La reinvenzione della lingua italiana
Inizialmente, Manzoni fu costretto a scegliere tra il francese (lingua in cui pensava e prendeva appunti) e il dialetto milanese. Fallito il tentativo del Fermo e Lucia, si sentì obbligato a reinventarsi una lingua nazionale. Il modello della lingua italiana era ancora quello di Petrarca sia per la prosa sia per la poesia. Manzoni lo mise in crisi sul piano della prosa, mentre per la poesia ci avrebbe pensato – molto tempo dopo – Pascoli. Rifiutando il fiorentino trascendentale, Manzoni propose un modello di lingua che si fondasse sull’uso, abbattendo la barriera tra scritto e parlato. Fu una scelta molto lungimirante, aveva capito che l’uso ha sempre la meglio e che solo una lingua “usata” poteva dirsi davvero viva, a dispetto di una ricava artificiosamente da modelli antichi.
Il manoscritto barocco
Sia l’introduzione della ventisettana sia quella della quarantana presentano all’inizio la finzione del manoscritto barocco, dal quale Manzoni avrebbe appreso la storia raccontata. Un pretesto che l’autore usa per mostrare l’incomprensibilità dell’italiano seicentesco e la necessità quindi di una nuova lingua. Nonostante si tratti di una caricatura, Manzoni riporta fedelmente le caratteristiche di quel modello: una struttura grammaticale che – come quella di Boccaccio e Petrarca – procede per proposizioni subordinate (ipotassi); un ricorso eccessivo alle maiuscole; presenza di arcaismi e latinismi; assenza di regole unitarie, per cui le stesse parole a volte presentano le doppie e altre volte no.
Il manoscritto si interrompe con «accidenti», un termine della scolastica. Manzoni è abile nel dosare la quantità di quel testo «sguaiato», ne mostra abbastanza per suscitare fastidio, ma non troppo da perdere il lettore.
Dalla ventisettana alla quarantana
Dal punto di vista linguistico, il lavoro di Manzoni per l’edizione definitiva del romanzo fu quello di «sciacquare i panni in Arno», rivedendo il Fermo e Lucia parola per parola per adattarlo al fiorentino dell’uso. In realtà, fu un lavoro così febbrile che alla fine non rimase una sola quarantana. Manzoni si recava materialmente in tipografia per apportare continue modifiche durante la pubblicazione. È stato quindi necessario un lavoro filologico per ricostruire le ultime volontà dell’autore.
Un’altra innovazione importante rispetto alla prima edizione è quella del mimetismo linguistico, praticato da Dante ma mai adottato dal resto della letteratura italiana. Nel Fermo e Lucia, tutti i personaggi utilizzano lo stesso tono, come nell’epica. I promessi sposi presentano invece una plurivocità rivoluzionaria. Molti letterati del tempo, però, a I promessi sposi preferirono la ventisettana, perché più fedele alla tradizione dello scritto. La scelta di Manzoni fu però quella vincente. Il romanzo si impose nelle scuole divenendo un classico forse più letto di Dante.
Ettore Barra