La conoscenza che abbiamo oggi sul teatro greco di età tardo-classica non è identica a quella che, per esempio, aveva Leopardi nel XIX sec. Menandro non è stato trasmesso per via manoscritta, ma è stato riscoperto attraverso i papiri solo dopo la spedizione napoleonica in Egitto. Prima il suo teatro era soltanto intuibile attraverso i rifacimenti latini di Plauto e Terenzio, i quali avevano ampiamente attinto dal patrimonio greco.
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Un lavoro filologico complesso
Il problema, però, è che i due autori latini, in particolar modo Plauto, avevano impiegato anche la tecnica della contaminatio, cioè avevano mescolato spesso e volentieri più commedie, creando una commistione in cui i confini dei singoli drammi non erano ben intuibili. D’altra parte, il pubblico di Plauto e Terenzio era molto diverso da quello dell’Atene di IV sec. a.C., dunque era naturale che i due autori avessero riadattato le commedie di Menandro per renderle accessibili agli spettatori romani e conformi al mos maiorum. Era, dunque, molto difficile tentare di ricavare Menandro dal teatro latino.
Il dibattito filologico
Il dibattito filologico su Menandro e sui suoi contributi al teatro latino è stato, di conseguenza, molto animato. Da un lato la scuola analista tedesca, attiva tra Ottocento e Novecento, sottolineava una così massiccia presenza dell’autore greco nei due commediografi latini da negare qualsiasi originalità a Plauto e Terenzio. Dall’altra parte, invece, la scuola italiana affermava l’opposto: secondo il principio per cui ogni opera d’arte è unica e irripetibile, gli studiosi nostrani notavano che il teatro di Plauto ha movenze solo latine, ed è pura espressione del cosiddetto Italum acetum. È facile pensare, dunque, che una plausibile verità vada collocata tra questi due estremi.
Plauto e Menandro
Plauto, tra i due commediografi, fu colui che si ispirò meno a Menandro: dell’autore greco possiamo riscontrare tracce solo nelle commedie Stichus, Cistellaria, Bacchides, Aulularia e Pseudolus. Cercare di “ricavare” Menandro da Plauto, inoltre, è difficile perché, a differenza di Terenzio, il primo non faceva esplicita menzione degli autori a cui si era ispirato per le sue commedie, dunque il lavoro è tutto filologico.
Plauto, rispetto a Terenzio, tralasciò totalmente la psicologia dei personaggi per abbracciare solo il modello delle commedie ad intreccio che Menandro aveva inventato, esagerandole ulteriormente. Il linguaggio, invece, è di stampo aristofanesco, con incredibili invenzioni di parole. Va riconosciuto, però, l’approfondimento che Plauto dedicò alla figura del servo: solo attraverso i papiri abbiamo capito che questo era un personaggio prediletto anche da Menandro (per esempio nella commedia Aspìs, dove il protagonista è il servo Davo), ma Plauto lo portò a livelli elevatissimi, rendendolo il vero motore dell’azione della commedia.
Terenzio, figlio di Menandro
Terenzio si ispirò molto a Menandro, e prima della scoperta dei papiri era lui la fonte principale per capire il teatro greco di IV sec. Egli stesso dichiarò di aver attinto ben quattro commedie su sei (Andria, Heautontimoroumenos, Adelphoe e Eunuchus) da originali di Menandro. Rispetto a Plauto, inoltre, contaminò molto meno le commedie, rendendo intuibile il disegno menandreo alla base. Egli fu vicino all’originale greco sotto tutti i punti di vista: approfondì la psicologia dei personaggi, e impiegò un linguaggio semplice e prosastico.
Per fare ciò, tuttavia, dovette tralasciare l’intreccio, rendendo le sue commedie statariae, cioè statiche: fu questa la causa del suo insuccesso presso i contemporanei.
I frammenti di Cecilio Stazio
Oltre a Plauto e Terenzio, sappiamo che anche altri commediografi si ispirarono a Menandro. Un esempio è Cecilio Stazio, la cui opera purtroppo non è giunta fino a noi. Tramite le Noctes Atticae di Aulo Gellio, però, sappiamo che egli scrisse un Plocium che si ispirava ad un’omonima commedia di Menandro. La testimonianza di Aulo Gellio è preziosissima perché egli confronta alcuni passi dell’una e dell’altra commedia, lasciandoci frammenti di due commedie che non avevamo per via manoscritta.
Una commistione inevitabile
L’importantissimo ruolo che Plauto e Terenzio hanno avuto nel processo di sopravvivenza dell’opera di Menandro è stato ovviamente più chiaro quando, attraverso la scoperta dei papiri egizi, l’autore greco è finalmente giunto ai nostri occhi in forma più consistente. Tali ritrovamenti non hanno soltanto concesso la lettura degli originali greci, ma hanno permesso di intuire l’importanza del teatro latino per la ricostruzione di quello greco, e l’intima connessione che lega due letterature lontane, ma unite da un filo rosso indistruttibile: quello dell’ispirazione e del rifacimento.
Alessia Amante