Dodici astronavi aliene, gli “specchi”, compaiono all’improvviso in dodici diverse zone della terra. La loro forma ovale si staglia sullo sfondo del cielo nitido e ricorda le rocce sospese dipinte da Magritte. Così si presenta Arrival di Denis Villeneuve, regista canadese che già fa parlare di sé per il seguito di Blade Runner in uscita a ottobre. Con Arrival, Villeneuve si è cimentato in una pellicola in cui la fantascienza è un meraviglioso pretesto per parlare d’altro: tra linguistica extraterrestre e riflessioni sul determinismo, Arrival è un film essenziale, quasi statico, in cui narrazione e riflessione sono tutt’uno.
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In che lingua parla un alieno?
ATTENZIONE: questo articolo contiene spoiler.
Il racconto da cui è tratto, “Storia della tua vita” di Ted Chiang, scritto in maniera altrettanto asciutta e priva di fronzoli, può costituire una valida guida in questo viaggio fantalinguistico alla scoperta del funzionamento di una lingua aliena e degli effetti che il suo apprendimento può provocare su un essere umano. È questo, infatti, il nucleo della riflessione di Arrival: nell’incontro con un’esistenza extraterrestre, cosa potrebbe accadere da un punto di vista neurolinguistico? Ancora più a fondo: è possibile ipotizzare, così come si è fatto a proposito dell’esistenza di forme di vita la cui struttura molecolare non sia basata sul carbonio, che la comunicazione aliena sia radicalmente diversa dalla nostra?
La storia della vita di Arrival
La linguista Louise Banks (interpretata da Amy Adams), assunta dal governo americano per comunicare con gli alieni, ci si presenta – nel film come nel racconto – in maniera inusuale: alla narrazione vera e propria, ambientata nei mesi successivi allo sbarco alieno e incentrata sul tentativo di comunicazione alieno, si sovrappongono frammenti – ricordi? – della sua vita privata e in particolare di sua figlia: scene isolate della sua infanzia felice si alternano a immagini della sua morte. La vita di Louise, ci sarà dato capire, è però molto più complessa di una qualsiasi narrazione costruita per flashback: gli episodi legati al rapporto con la figlia, infatti, sono piuttosto anticipazioni di un futuro non ancora verificatosi, eppure già chiaro e inevitabile nella mente della protagonista.
L’incipit del film a questo proposito è molto eloquente. Louise comunica con la figlia non ancora nata e le parla del suo rapporto con la memoria:
Un tempo pensavo che questo fosse l’inizio della tua storia. La memoria è una cosa strana, non funziona come credevo, siamo così limitati dal tempo, dal suo ordine… ma ora non so più se credo che esista un inizio e una fine.
Linguaggio e pensiero
La teoria linguistica a cui si ispirano il racconto di Chiang e Arrival è la cosiddetta Sapir-Whorf Hypothesis: si tratta di una posizione di relativismo radicale, secondo la quale la lingua e, più specificamente, determinate strutture linguistiche si riflettono sul sistema cognitivo in misura talmente influente da determinarlo e modificarlo (in parole povere, la lingua influenzerebbe il pensiero: a lingue diverse corrisponderebbero strutture di pensiero diverse). Le parole di Whorf spiegano molto bene ciò che avviene a Louise dopo una lunga esposizione alla sistema di scrittura degli alieni, chiamato “Eptapode B”:
Il sistema linguistico di sfondo (in altre parole, la grammatica) di ciascuna lingua non è soltanto uno strumento di riproduzione per esprimere le idee, ma esso stesso dà forma alle idee, è il programma e la guida dell’attività mentale dell’individuo, dell’analisi delle sue impressioni, della sintesi degli oggetti mentali di cui si occupa […] Analizziamo la natura secondo linee tracciate dalle nostre lingue […]
l’Eptapode B stava cambiando il mio modo di pensare. Per me pensare era sempre stato come parlare, usando però una voce interiore. Per dirla nel gergo di noi linguisti, i miei pensieri erano codificati foneticamente. […] Con l’Eptapode B i miei pensieri cominciavano a essere codificati graficamente. […] con l’occhio della mente vedevo invece dei semagrammi, che germogliavano come brina sul vetro di una finestra.
Un linguaggio semasiografico
Ma che cos’è l’Eptapode B e perché è necessario specificare che si tratta di un sistema grafico?
Non riuscendo a interpretare i suoni prodotti dagli eptapodi, Louise è costretta a comunicare graficamente con le creature, utilizzando cioè la lingua scritta. Questo sistema di scrittura ha una peculiarità: si tratta di un linguaggio semasiografico, i cui segni, cioè, non rappresentano i suoni di una lingua (come la scrittura alfabetica, in cui ciascun segno grafico corrisponde a un suono) ma descrivono direttamente i concetti. Potremmo dire che un tale sistema di scrittura è più vicino alla raffigurazione del pensiero, perché non deve “passare” per la fonetica. Gli alieni di Arrival, dunque, hanno due sistemi linguistici diversi: uno, l’Eptapode A, è usato per comunicare verbalmente, mentre l’altro è solo scritto.
Quando una frase in Eptapode B raggiungeva dimensioni consistenti, l’impatto visivo era notevole. Se non avessi dovuto decifrarla, quella scrittura mi sarebbe sembrata una sequenza d’imprevedibili mantidi religiose disegnate in corsivo, chinate l’una sull’altra fino a formare un reticolo degno di Escher, ognuna in una posizione lievemente diversa.
Linguaggi lineari, linguaggi circolari
Escher non è citato a caso: maestro degli effetti ottici, i suoi quadri spiazzano l’osservatore e gli fanno assumere un punto di vista insolito; raffigurano un mondo impossibile, in cui le scale possono condurre in tutte le direzioni e ogni cosa si trasmuta in un’altra in un ciclo infinito. Allo stesso modo, la scrittura degli eptapodi nel film è resa visivamente in modo circolare: essa raffigura “simultaneamente” tutto il pensiero che vuole esprimere, opponendosi così ad una caratteristica fondamentale di tutti i linguaggi umani conosciuti: la linearità. Se, infatti, la lingua umana deve necessariamente svolgersi “nel tempo” (attraverso la pronuncia di un suono dopo l’altro) o “nello spazio” (il susseguirsi di lettere o ideogrammi), l’Eptapode B può invece “dire tutto contemporaneamente”.
Già prima di tracciarlo, l’eptapode sapeva come si sarebbe sviluppato il verso della frase. […] Gli eptapodi non componevano le loro frasi scrivendo un semagramma dopo l’altro, tracciavano bensì dei segni che si sviluppavano da soli, senza apparentemente tener conto del semagramma finale. […] Nessuno avrebbe potuto elaborare una struttura così intricata alla velocità necessaria per sostenere una conversazione. Nessun essere umano, se non altro.
Causalità e teleologia
Il racconto di Chiang – e così Arrival, sostituendo alle riflessioni linguistiche le immagini di Louise che diventa sempre più brava a scrivere e persino a pensare in Eptapode B – ci porta infine a riflettere sul tema del rapporto tra lingua e pensiero. Assumendo la prospettiva degli alieni, Louise ne acquisisce sempre più profondamente anche il modo di pensare, di percepire il mondo e lo scorrere del tempo: ciò significa che, per Louise, i concetti di “passato” e “futuro” iniziano a perdere di significato.
Oltre la riflessione puramente linguistica, quindi, Arrival racconta, attraverso la fantascienza, un tema filosofico di secolare rilevanza: il tempo è lineare come noi lo percepiamo? Esiste una direzione predeterminata verso la quale inevitabilmente ci dirigiamo? Il racconto di Chiang fa uso di immagini concrete per esprimere questi concetti: è l’incontro-scontro tra le spiegazioni scientifiche umane e quelle aliene a darci conto dell’opposizione tra causalità e teleologia. Umani e alieni, infatti, danno conto degli stessi fenomeni fisici in maniera radicalmente diversa, percependo dunque la realtà in modi opposti e altrettanto validi.
Gli attributi fisici che gli uomini consideravano intuitivi, come l’energia cinetica o l’accelerazione, erano tutti proprietà di un oggetto in un preciso momento. Questo conduceva a un‘interpretazione cronologica e causale degli eventi: ogni momento nasce dal precedente, cause ed effetti creano una reazione a catena che si sviluppa dal passato al futuro. Gli attributi fisici che gli eptapodi trovavano intuitivi avevano invece senso solo se prolungati per un determinato periodo di tempo. Ciò conduceva a un’interpretazione teleologica degli eventi: vedendoli sviluppare nel tempo, diveniva evidente che un certo requisito dovesse essere soddisfatto […] e per raggiungere tale obiettivo era necessario conoscere lo stato iniziale e lo stato finale; bisognava essere a conoscenza degli effetti prima che le cause avessero modo di prodursi.
L’ipotesi Sapir-Whorf in Arrival
Riprendiamo il discorso di Whorf sulla relatività linguistica: ciò che teorizzava il linguista è esattamente alla base delle differenze tra linguistica umana ed aliena nel racconto di Chiang.
Siamo così indotti a un nuovo principio di relatività, secondo cui differenti osservatori non sono condotti dagli stessi fatti fisici alla stessa immagine dell’universo, a meno che i loro retroterra linguistici non siano simili, o non possono essere inqualche modo tarati.
Nel racconto leggiamo:
Quando gli antenati degli esseri umani e degli eptapodi vennero illuminati dalla scintilla della coscienza, percepirono lo stesso mondo fisico, ma interpretarono le proprie percezioni in modo diverso. A partire da quella divergenza, si delinearono infine due diverse visioni del mondo. Gli uomini avevano sviluppato una coscienza di tipo sequenziale, e gli eptapodi ne avevano sviluppata una di tipo simultaneo. Noi percepiamo gli eventi secondo un ordine, in un rapporto di causa-effetto fra l’uno e l’altro. Loro percepiscono tutti gli eventi in una volta sola, a partire da un obiettivo che li collega tutti quanti.
Uno spunto di riflessione
Louise Banks è il punto di contatto tra queste due visioni del mondo: la sua rimane infatti una vita umana, fatta di piccole gioie quotidiane, storie d’amore e un lutto dolorosissimo, la perdita di una figlia; la sua mente, però, non è più “soltanto” umana, perché Louise è in grado di percepire il futuro come fosse presente, con la stessa simultaneità che caratterizza la scrittura degli Eptapodi. In conclusione, Louise si trova dunque a dover compiere una scelta, quella di vivere in modo pieno una vita di cui già conosce gli esiti. Arrival ci lascia quindi con questa riflessione dal retrogusto un po’ amaro: se fossimo a conoscenza delle conseguenze delle nostre azioni, come gli Eptapodi lo sono delle frasi che compongono prima di iniziare a scrivere, riusciremmo a vivere senza voler cambiare gli eventi?
Maria Fiorella Suozzo