Cecco Angiolieri (Siena, 1260 circa – Siena, 1313), è stato una personalità poetica estremamente enigmatica.
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L’interpretazione romantica della poesia di Cecco Angiolieri
La critica romantica aveva dato un’interpretazione eccessivamente autobiografica della poesia di Cecco Angiolieri. Era considerata trasposizione diretta e spontanea di un carattere violento e di un’esistenza scapestrata, ma quest’interpretazione non corrisponde affatto alla verità.
Il fascino della poesia comica
Della poesia che cantava la donna, la taverna e il dado Cecco Angiolieri dovette sentire un fascino profondo. Erano dei veri e propri topoi letterari, che non corrispondevano necessariamente a reali esperienze di vita. Fu quella poesia a guidarlo verso lo stile mezzano, lontano dalle ideali laudes e propenso, invece, alle violente tinte dei viturperia e delle contentiones.
Cecco Angiolieri fu attratto da tutti quegli atteggiamenti psicologici e stilistici di tipo giocoso. Egli rielabora una tradizione, non rinunciando tuttavia ad esprimere se stesso con originalità.
La figura di Cecco Angiolieri assume significato storico solo se inserita nella tradizione scolastica di tipo giocoso, e letteraria di tipo goliardico. È estremamente riduttivo giudicare la sua poesia come semplice resoconto di una vita sregolata.
Le tematiche principali:
Il suo viturperium contro il padre è tecnicamente elaborato secondo le regole e lo stile suggeriti dalle Artes. E così il suo misoginismo, il lamento per la povertà, il motivo dell’onnipotenza del denaro.
“Tre cose solamente m’ènno in grado,
le quali posso non ben ben fornire,
cioè la donna, la taverna e ‘l dado:
queste mi fanno ‘l cuor lieto sentire.
Ma sì mme le convene usar di rado,
ché la mie borsa mi mett’ al mentire;
e quando mi sovien, tutto mi sbrado,
ch’i’ perdo per moneta ‘l mie disire.
E dico: ” Dato li sia d’una lancia! “,
ciò a mi’ padre, che mmi tien sì magro,
che tornare’ senza logro di Francia.
Ché fora a torli un dinar più agro,
la man di Pasqua che ssi dà la mancia,
che far pigliar la gru ad un bozzagro”.
Una visione del mondo concreta ed ironica
Tuttavia, questo non significa schematico tecnicismo e morte di ogni sentimento e di ogni impegno psicologico.
La scelta comica o giocosa da parte del poeta indica una condizione interiore e una precisa visione del mondo. La psicologia di Cecco Angiolieri è sempre volta al gioco, alla beffa e alla parodia. Non ha impegni, se non letterari e tecnici. È lontano da problemi morali o escatologici, che sono guardati con una punta di sottile ironia. Si abbandona ad una visione del mondo antiplatonica, concreta, terrestre; appartiene a quella schiera di poeti che presero con gioia il vivere terreno, una gioia che è quindi fisica, fugace, come la vita quotidiana, e perciò non priva di una dissimulata malinconia.
L’opposizione alla poetica stilnovista…
Il suo occhio riesce a penetrare al di là delle parvenze delle cose. Ma non vuole coglierne un metafisico quid aeternum, “l’essenza eterna”, come accadeva nella poesia dello Stilnovo.
È in questo che Cecco Angiolieri è un antistilnovista: per lui la poesia non potrà mai raggiungere l’ansia dell’eterno e l’immortalità.
… e la sua parodia
Nel volersi distaccare dalla poetica stilnovista, Cecco Angiolieri la riprende in modo parodico. Il suo amore per Becchina è cantato molto spesso secondo tematiche e moduli stilistici tipici dello Stilnovo. Cecco si serve di situazioni, espressioni, formule, parole chiave presi dai testi di questi poeti prestigiosi. L’oggetto dell’amore cantato non è però una donna angelica e cortese, umile e raffinata. Becchina è un’energica popolana dai comportamenti grossolani e sguaiati:
“La mia malinconia è tanta e tale,
ch’i’ non discredo che, s’egli ’l sapesse
un che mi fosse nemico mortale,
che di me di pietade non piangesse.
Quella, per cu’ m’avven, poco ne cale;
che mi potrebbe, sed ella volesse,
guarir ’n un punto di tutto ’l mie male,
sed ella pur: – I’ t’odio – mi dicesse.
Ma quest’è la risposta c’ho da lei:
ched ella non mi vol né mal né bene,
e ched i’ vad’a far li fatti mei;
ch’ella non cura s’i’ ho gioi’ o pene,
men ch’una paglia che le va tra’ piei:
mal grado n’abbi Amor, ch’a le’ mi diène.”
Il lessico: tra dialetto e aulicismi
Cecco Angiolieri aveva il gusto della parola. La lingua parlata si trasformava in un docile strumento di stile, sia quando abbondavano le forme dialettali, sia quando erano utilizzati termini aulici e letterari, semanticamente trasfigurati dai contenuti caricaturali e parodistici.
La sintassi del parlato
La sua sintassi è popolareggiante. Si tiene lontana dal rigore della poesia alta, è ricca di improvvisi incisi e di anacoluti. Abbonda di riprese di tono colloquiale e di aperture dialogate, proprie di chi parla o racconta.
Una poesia dialogata: la sensibilità al quotidiano
La poesia di Cecco Angiolieri infatti è sempre idealmente dialogata, anche quando non lo è tecnicamente. Poesia che si spande all’esterno, in cui si esprime una concreta sensibilità delle cose comuni della vita quotidiana, che sono maliziosamente contraffatte da un contrasto improvviso, da un’antitesi esistenziale.
Quella di Cecco Angiolieri è una letteratura altissima, sorretta da un’intuizione acuta ed originale, quasi come un disegno caricaturale.
Nadia Rosato
Fonti:
Mario Marti, Cultura e Stile nei poeti giocosi del tempo di Dante.