Ogni prefisso “anti” si definisce sempre in opposizione ad un ideale positivo: il polo contrario della distopia è l’utopia, tema filosofico e letterario molto diffuso fin dall’antichità (basti pensare alla celebre “repubblica” di Platone) il cui scopo era quello di mostrare una società ideale alla quale avrebbe dovuto ispirarsi quella reale.
Nel corso della storia, però, è stato sempre più evidente che l’uomo non ha tanto bisogno dell’immagine di una perfezione, in quanto statica ed irraggiungibile per definizione (l’etimologia vuole che quella “u” possa tanto derivare da εὖ , “buono”, quanto da οὐ, “non”, per cui si tratterebbe allo stesso tempo di un luogo ideale ed impossibile da realizzare nella realtà), ma di uno scenario catastrofico, una distopia appunto, da scongiurare in ogni modo possibile.
Alle origini della distopia
Nel secolo scorso si è affermato, particolarmente in Inghilterra, un genere letterario incentrato sulla creazione e descrizione di mondi governati da temibili dittature o da spietati luminari della scienza.
Fin dall’Illuminismo erano state mosse critiche alle società ideali: il “Candido” di Voltaire, “I viaggi di Gulliver” e molte altre satire sono solo le opere più note di un filone che trova nella fantasia lo strumento necessario a criticare le brutture dell’era presente. Ci volevano, però, degli eventi storici letteralmente distruttivi per innescare la bomba che avrebbe fatto esplodere, nel Novecento, la distopia come genere letterario.
Se “regime totalitario” vi dice qualcosa, allora siete sulla strada giusta. La fiducia nel progresso dell’umanità, cioè le “magnifiche sorti e progressive” che già Leopardi denigrava ne “La ginestra” (1836), sembra decadere definitivamente dopo la prima guerra mondiale. Proprio nei decenni immediatamente successivi, infatti, escono in Inghilterra i capolavori della distopia.
I capolavori della distopia inglese
1932: Huxley pubblica “Brave New World” (il titolo è un omaggio a “The Tempest” di Shakespeare), ambientato in un futuro immaginario nel quale gli anni si conteggiano dalla nascita… di Ford. Si tratta di un mondo apparentemente perfetto, in cui però qualcosa è incrinato: i rapporti sociali sono superficiali e utilitaristici, i bambini nascono attraverso mezzi extra-uterini, vengono “condizionati” fin da neonati e assegnati, a seconda delle loro capacità intellettive, ad un gruppo sociale denominato con una lettera. Tutta la “produzione umana” avviene in serie, come in una fabbrica. Il mondo funziona e non ci sono guerre, ma a quale prezzo?
1948: Orwell inizia la stesura del suo capolavoro, “1984”. Se le date non mentono, la sua intenzione era quella di mostrare un futuro imminente ed estremamente probabile. Non è un caso che “il grande fratello”, fantomatico capo del Partito di Oceania, il continente dove avvengono i fatti, sia descritto con tratti misti di Mussolini, Stalin ed Hitler.
“WAR IS PEACE
FREEDOM IS SLAVERY
IGNORANCE IS STRENGTH”
Il motto è un tipico esempio di “bispensiero”, meccanismo psicologico che permetterebbe di sostenere un’idea e allo stesso tempo il suo opposto, in modo da non trovarsi mai al di fuori dell’ortodossia: in parole povere di essere sinceramente convinti di un concetto e anche, all’occorrenza, della sua negazione. Orwell voleva metterci in guardia da un sistema di costrizione del pensiero che, nelle sue previsioni, non si sarebbe manifestato soltanto con l’esplicita violazione della libertà (come era stato per i regimi totalitari del primo Novecento), ma in una maniera molto più subdola che, tra i vari mezzi, avrebbe contemplato la modificazione progressiva del pensiero attraverso la riduzione delle parole e la trasformazione della lingua: se non hai la parola adatta e non puoi esprimerlo, alla lunga non potrai neanche pensarlo.
1954: viene pubblicato “Il Signore delle Mosche”, romanzo d’esordio del premio Nobel per la letteratura W. Golding. In questo testo la “non desiderabilità” del luogo ha i germi proprio dalla sua originale natura di mondo idilliaco: un gruppo di bambini, reduci dal crollo di un aereo, sono abbandonati a se stessi su un’isola paradisiaca totalmente isolata dalla civiltà moderna. Questo ritorno allo stato di natura, coniugato alla tanto millantata innocenza infantile, genera però una vera e propria dittatura: i bambini, inizialmente intenzionati a darsi delle regole come in una vera società civile, si fanno sempre più prendere dalle paure e dagli istinti irrazionali, svelando l’aspetto più maligno e bestiale della natura umana.
“Che idea pensare che la Bestia fosse qualcosa che si potesse cacciare e uccidere! […] Lo sapevi, no? che io sono una parte di te? Che io sono la ragione per cui non c’è niente da fare? Per cui le cose vanno come vanno?”
Il senso della distopia, dunque, è perennemente attuale e radicato nella realtà: la fantasia è solo il mezzo per metterci in guardia da ciò che ogni giorno sta in agguato dietro l’angolo e, forse, anche dentro di noi.
Maria Fiorella Suozzo
Fonti
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fonte citazioni: wikiquote