La notte del 30 gennaio del 1933 in tutta la Germania e a Berlino ebbero luogo grandi festeggiamenti per la nomina a cancelliere di Adolf Hitler. Molti anni dopo, lo scrittore tedesco Günther Grass, vincitore del Premio Nobel per la Letteratura nel 1999, prende spunto da questo evento per uno dei cento racconti che compongono la raccolta “Il mio secolo”.
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“Il mio secolo” di Günther Grass
Con “Il mio secolo” Grass tenta di delineare non solo il panorama storico tedesco ma anche quello mondiale del XX secolo. Nelle sue brevi storie, lo scrittore di Danzica racconta sia in prima persona che attraverso personaggi fittizi e reali, sconosciuti e famosi fatti storicamente importanti (le due guerre mondiali, la divisione della Germania, i movimenti studenteschi, la caduta del Muro) oppure più leggeri, come la diffusione della televisione e il successo delle gemelle Kessler. Non mancano, inoltre, i racconti più intimi e privati della vita di Grass: la pubblicazione nel 1959 del romanzo “Il tamburo di latta” oppure i suoi viaggi in India e in Italia.
L’anno 1933
Nei suoi 100 racconti, dunque, Grass cerca di tracciare un continuum storico scegliendo di far parlare personaggi inseriti in un contesto ben preciso e di narrare specifici eventi, come il momento dell’ascesa al potere di Hitler nel gennaio del 1933, punto di partenza per il racconto intitolato appunto “1933”. Anche se a raccontare cosa succede a Berlino nel gennaio di quel nefasto anno è una figura sconosciuta, protagonisti di questa storia sono Max Liebermann, massimo esponente dell’Impressionismo in Germania, e la sua arte. Non è un caso che Grass abbia deciso di sviluppare in questo suo racconto anche il tema della concezione nazista di “arte degenerata”: anni prima lo scrittore di Danzica aveva frequentato l’Accademia di Belle Arti di Düsseldorf.
La minaccia dell’ “arte degenerata”
Sin dalle prime righe di questo breve racconto, il mondo dell’arte fa la sua comparsa attraverso le parole del narratore che fa tristemente riferimento all’ascesa dell’«imbianchino» (Hitler aveva inutilmente tentato di entrare all’Accademia di Belle Arti di Vienna). Il 30 gennaio del 1933, dunque, la minaccia della «Sua Volontà di Potenza» diventa sempre più concreta, una minaccia non solo per il mondo intero, ma anche per la cultura e l’arte: in quegli anni, infatti, si diffonde il termine “arte degenerata”, con il quale si indicavano tutte quelle opere che si opponevano alle concezioni naziste. Per evitare, quindi, qualsiasi tipo di “epurazione”, i primi quadri «considerati particolarmente equivoci» (alcune opere di Kirchner e di Nolde, ad esempio) furono trasferiti al sicuro ad Amsterdam. La minaccia nazista però sembra gettare la sua ombra anche sul «Maestro» Max Liebermann e sulla moglie, entrambi ebrei.
La parata di Berlino
Più si va avanti con il racconto, più il senso di angoscia aumenta e prende la forma di una parata che si svolge a Berlino per celebrare Hitler. Il narratore ricorda quei luoghi, ora tristemente affollati, un tempo punto d’incontro per visitare «l’atelier del Maestro» in un’atmosfera «ricca di spirito, spesso allegra». In questo momento, invece, sulla Pariser Platz tutti i sostenitori del Partito Nazionalsocialista e del suo capo preparano una parata osservata dal narratore dall’alto della residenza borghese di Max Liebermann e della moglie, due «silhouette scure contro il cielo». Da quello stesso tetto, racconta il pittore, «nel ’71 aveva visto marciare attraverso la Porta i reggimenti vittoriosi di ritorno dalla Francia, poi nel ’14 i fanti che partivano con in testa ancora l’elmo chiodato, quindi nel ’18 l’arrivo dei battaglioni di marinai rivoltosi». Con questa marcia il passato sembra dunque ripetersi, anche se con risvolti più drammatici.
Diverse reazioni
Lo spettacolo offerto dalle migliaia di torce sotto la Porta di Brandeburgo suscita nei protagonisti del racconto sensazioni diverse: mentre il narratore, alla vista di quella «fiaccolata simile a un fiume di lava», si sente spaventato ma nello stesso tempo «profondamente colpito», Liebermann prova repulsione e ribrezzo per quella scena. E’ in questo momento che l’artista tedesco pronuncia delle parole che a lungo circoleranno a Berlino e che descrivono il disgusto di fronte all’ascesa di Hitler : «Non riesco proprio a ingozzarmi tanto quanto vorrei vomitare».
“Dipingere” la storia
Anche se il breve racconto di Grass termina senza darci informazioni sui successivi avvenimenti che riguardarono Liebermann (fu costretto a dimettersi dalla carica di presidente dell’Accademia prussiana delle arti e i suoi quadri, in quanto creazioni di un ebreo, non vennero più esposti), lo scrittore tedesco riesce, con brevi ma decise pennellate, non solo a dipingere un vero e proprio quadro del trionfo di Hitler, ma a concentrare anche la propria attenzione sugli esiti nefasti della concezione di “arte degenerata”.
Pia C. Lombardi
Bibliografia
G. Grass, Il mio secolo, Torino, Einaudi, 2000.