Col nome Fetonte, in mitologia classica, si possono intendere due cose totalmente differenti. Da un lato, Fetonte è un epiteto associato al dio Elios, il Sole: significa, infatti, splendente; dall’altra parte, invece, si fa riferimento a un personaggio mitologico, figlio di Elios e Climene.
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Il mito di Fetonte nelle Dionisiache
L’autore, che ha dedicato una grande sezione della sua opera al mito di Fetonte è Nonno di Panopoli. Vissuto a cavallo tra V e VI sec. d.C., Nonno è autore, tra l’altro, delle Dionisiache, poema epico lungo 48 canti e dedicato alle imprese del dio Dioniso. Il libro dedicato al mito di Fetonte è il trentottesimo, in cui la lunga digressione mitologica parte da un discorso di Ermes al futuro dio Dioniso.
Ermes racconta tutto il mito di Fetonte, dagli eventi antecedenti alla sua nascita fino alla sua tragica morte. Fetonte, secondo Nonno, è figlio di Elios, il Sole, e Climene, una delle ninfe oceanine. Elios scorge Climene bagnarsi nelle acque di suo padre e si innamora di lei. Dall’unione tra le due divinità nasce Fetonte, un bambino così splendente da indurre il padre a “prestargli” il suo epiteto, appunto “lo splendente”.
L’infanzia: il presagio di morte
Fetonte cresce col nonno Oceano, che un giorno ha un terribile presagio sul suo destino. Giocando col nipote, Oceano si diverte lanciando il bambino per aria, per poi riafferrarlo prontamente con le braccia. Durante uno di questi salti, tuttavia, il bimbo inizia a ruotare su se stesso e cade in acqua. L’incidente è significativo in quanto fautore di un presagio: Fetonte morirà cadendo dal cielo.
Con il passare del tempo, il ragazzo cresce tra la compagnia del nonno e i giochi che inventa con un piccolo carro tra i pascoli della Sicilia. L’adolescenza è, tuttavia, accompagnata da un desiderio prorompente, cui Fetonte non riesce a rinunciare: guidare il carro di suo padre, il Sole.
Il giovane inizia ad implorare il padre di soddisfare il suo capriccio ma Elios è deciso a non lasciarsi convincere: il carro rappresenta l’attributo di un dio, il suo potere, che non può essere reclamato dal figlio; tutti coloro che hanno osato farlo, hanno avuto una terribile morte.
Ma Elios, che ama il figlio più della sua stessa vita, infine si lascia convincere e si fa promettere da Fetonte di seguire una precisa rotta affinché il carro del Sole non cambi direzione e intraprenda il giusto percorso. Dopo una lunga digressione astronomica, Fetonte sale sul carro e assume le sembianze del Sole, bramoso di poter essere per una volta come il padre.
La punizione e la morte
In cielo il giovane si ritrova ad ammirare stupito l’immagine della Terra vista dall’alto, la bellezza delle stelle e del mondo. D’improvviso perde il controllo dei cavalli alati, che, imbizzarriti, gettano nel panico Fetonte, il quale inizia a frustarli nel tentativo di domarli.
Tutto accade in un lampo: come era stato presagito, ecco la punizione divina. Il figlio del Sole precipita dal cielo fulminato da Zeus: il divino padre non può permettere che l’universo piombi nel caos.
Una ricompensa amara, tuttavia, viene concessa a Fetonte: egli, insieme al carro tanto agognato, viene tramutato nella costellazione dell’Auriga. Le sorelle, invece, come racconta anche Ovidio nelle Metamorfosi, vengono trasformate in alberi, e le loro lacrime diventano gocce d’ambra, distillate dalla corteccia. La morte del figlio induce Elios a riappropriarsi del suo nome Fetonte, e a impedire a tutti di toccare il suo carro.
Fetonte in Euripide: le differenze del mito
Le linee guida della versione del mito di Nonno sono comuni a tutta la letteratura greca; tuttavia, rispetto al mito di età classica, nel rifacimento di Nonno diverse sono le ragioni per cui Fetonte guida il carro del Sole.
Nel Fetonte di Euripide, il bambino è figlio di Elios e Climene, ma egli crede padre Merope, sposo di Climene. Quando da ragazzo egli inizia a sospettare della sua natura divina, viene spinto dalla madre a recarsi da Elios per averne la prova: soltanto il figlio di Elios sarà in grado di guidare il suo carro. Il Sole acconsente alla richiesta del giovane, avendo promesso al presunto figlio di realizzare qualsiasi suo desiderio. La tragica fine, tuttavia, è la stessa: Fetonte precipita dal carro e muore.
Il mito ripreso da Dante nella Divina Commedia
Altri accenni al nome di Fetonte e al suo mito sono stati fatti solo in riferimento all’epiteto del dio Sole, perdendo in parte la “personificazione” mitologica.
Tra le più note riprese del personaggio mitologico, spicca la scelta di Dante, che lo nomina nella Divina Commedia, non come epiteto ma proprio come figlio di Elios e Climene. Già nel XVII canto dell’Inferno Dante, in riferimento al volo sopra il demone Gerione, così commenta:
“Maggior paura non credo che fosse quando Fetonte abbandonò li freni, per che ‘l ciel, come pare ancor, si cosse.”
(Divina Commedia, Inferno, XVII vv. 106-108)
Il nome Fetonte ritorna nel Purgatorio, canto IV, quando Dante definisce l’eclittica rifacendosi al mito classico:
“…la strada che mal non seppe carreggiar Fetòn.”
(Divina Commedia, Purgatorio, IV vv. 71-72)
Il mito di Fetonte, dunque, sopravvive ancora oggi in nome del “messaggio” autenticamente greco che promulgava. Il concetto alla base di tali miti è la ὕβϱις, la tracotanza, l’andare oltre i propri limiti. Come Icaro, anche Fetonte ha superato il suo limite, quello di essere non ancora divino, e ha tentato di “appropriarsi” degli attributi del padre.
La premonizione in giovane età e il lungo discorso di Elios sulla sorte dei figli degli dei sono solo avvertimenti che però “lo splendente” ignora. È forse questa la lezione del mito: i grandi animi sono portati di per sé a superare ogni limite perché non sopportano costrizioni. Peccare di ὕβϱις, dunque, porterà sì all’autodistruzione, ma garantirà anche l’immortalità a tutti i grandi eroi.
Alessia Amante
Bibliografia:
- Nonno di Panopoli (a cura di), Dionisiache – Il mito di Fetonte, BUR, 2003.