Wolf Biermann, poeta e cantautore tedesco, negli anni ’70 partecipa attivamente con le sue creazioni a quel gruppo di intellettuali e artisti in Germania che condanna duramente la DDR e allo stesso tempo si professa risolutamente comunista, antifascista, antimilitarista e anticapitalista. Biermann segue le orme del padre, morto ad Auschwitz perché parte dell’opposizione comunista antinazista, e da giovane decide di trasferirsi dalla natale Amburgo (all’epoca, città della Repubblica Federale Tedesca) a Berlino Est, capitale della Repubblica Democratica Tedesca, per studiare alla Humboldt Universität. Qui, oltre a lavorare come assistente alla regia al Berliner Ensemble, comincia a dedicarsi alla sua grande passione, ossia alla stesura di canzoni. I pezzi di Wolf Biermann, però, non trattano argomenti semplici, bensì sono impegnati, rabbiosi, di protesta. Nella DDR, nonostante gli ostacoli, le critiche e gli insuccessi, Biermann resiste:
Là, dove la Friedrichstrasse
Valica lieve le acque
sulla Spree è sospeso
Il ponte di Weidendamm. Bella
Ci puoi vedere l’aquila prussiana
se io sono alla ringhiera
L’esilio forzato
Una volta partito per Colonia, città da dove sarebbe iniziata una sua tournée, Wolf Biermann scopre di non avere più la cittadinanza e il permesso del governo sovietico di rientrare in patria. Con questa sua decisione, la DDR pensava di poter semplicemente eliminare la minaccia di una voce coraggiosa e fuori dal coro, ma in realtà non fa altro che scatenare la critica di molti intellettuali che, in difesa del cantautore, scrivono una lettera di protesta al governo della Repubblica Democratica Tedesca.
La ballata di Icaro/Wolf Biermann
Nella “Ballata dell’Icaro prussiano” del 1978 Biermann canta il mito di Icaro, rappresentante di ciò di cui l’uomo è incapace, ossia il volo, per poter descrivere (e contestare) non solo la situazione politica della DDR, ma anche la sua particolare condizione di “esiliato forzato”. L’ispirazione per questa canzone viene da un ponte a Berlino in ferro battuto e in metallo («il ponte di Weidendamm»), proprio quei materiali che si utilizzano per costruire le armi. Sin dalle prime strofe della canzone, si rivela al pubblico il protagonista assoluto del pezzo, cioè Icaro:
l’Icaro prussiano è lì
con grigie ali di ghisa
le braccia gli fanno così male
non vola via – non si butta giù
non fa rumore – e non si affloscia
alla ringhiera sulla Spree
Le stanze
Nella prima stanza della ballata si possono rintracciare una serie di riferimenti alla militarizzazione della Repubblica Democratica Tedesca negli anni ’70. Qui, dunque, Biermann canta dell’«Icaro prussiano», ossia della Germania Est, bloccato nel metallo, metafora delle armi. Per l’autore è come se la sua terra si fosse armata contro ogni tipo di libertà e proprio questa sua condizione non fa altro che generare immutabilità e immobilità: per il suo peso, Icaro non può volare via e sembra, dunque, destinato a rimanere per sempre ancorato al metallo, cioè alla violenza militare. Nella seconda stanza della ballata non manca il ricordo del passato nazista e dell’Olocausto, memoria che si insinua nel corpo e nella mente come un cancro:
Il filo spinato pian piano attecchisce
Profondo nella pelle
nel cervello, nella materia grigia
Stretta da un reticolato
La nostra terra è un’isola
tutt’intorno battuta da onde di piombo
La Germania Est è emarginata da tutto e tutti («La nostra terra è un’isola»), rimane soltanto “il piombo” delle armi, della violenza, dell’odio, dell’oppressione e della menzogna, tutti quegli elementi che caratterizzano la politica della DDR. L’ultima stanza è invasa dall’esperienza dell’autore, dalla sua soggettività che non vuole semplicemente denunciare la tragedia personale, ma raccontare dell’esilio forzato e del coraggio di non cadere nel silenzio. Il volo del cantautore consiste nel tentativo di cambiare la corrotta e malata Germania Est:
Io resto qui, finché raggelato
Mi ghermirà questo odiato uccello
trascinandomi oltre la sponda
io sono allora l’Icaro prussiano
con grigie ali di ghisa
le braccia mi fanno così male
allora volo alto – e poi mi butto giù
faccio un po’ di rumore e poi mi affloscio
alla ringhiera sulla Spree
Pia C. Lombardi