Il cinema come mondo delle scelte (compiute e non): questo articolo è un viaggio trans-cinematografico tra Memento, La stanza del figlio e La La Land.
Indice dell'articolo
Antefatto: il cinema è esercizio di un pensiero creatore
Come si è già approfondito in uno dei precedenti articoli il mezzo cinematografico ha la straordinaria capacità di poter creare un universo spazio-temporale autonomo in cui anche le scelte non fatte possono essere vissute. scelte
Secondo Deleuze, infatti, il cinema è esercizio di un pensiero creatore e il rapporto tra cinema e filosofia si sviluppa nel pensiero di Deleuze non come indagine sui contenuti filosofici di questo o di quel film, ma come riconoscimento del fatto che sia l’immagine cinematografica sia il concetto filosofico sono pratiche inventive e proprio in questo trovano un terreno di confronto in cui potersi ripensare.
Scelte, rimpianti e fantasmi dell’anima
Il cinema, quindi, è il mondo dei compossibili attraverso il quale si dispiegano le infinite strade da poter intraprendere: le possibilità di scelta che identificano l’uomo come soggetto autonomo. Ma è anche il mondo dei sognatori, dei melanconici proprio perché è in grado di dare fisicamente corpo ai fantasmi dell’anima, alle scelte non fatte e ai sogni infranti.
Non è un caso, infatti, che ancora una volta Deleuze ci parli a questo proposito di pensiero rizomatico, di incontri. Gli incontri danno luogo al nuovo, al possibile di cui ha bisogno l’uomo per poter vivere.
«Datemi del possibile, altrimenti soffoco» [1].
Memento, C. Nolan – 2000
Leonard, affetto da perdita della memoria a breve termine, è alla continua e ossessiva ricerca dell’assassino della moglie. È mosso dalla vendetta e non fa altro che cercare di fissare, di imprimere sulla propria pelle o attraverso delle istantanee, ciò che accade.
La lettura che viene fornita allo spettatore è una sorta di soggettiva in cui ci si ritrova a “vivere” ciò che “vive” Leonard. La sua, appare come una costante ricerca di un’informazione inafferrabile, ma lo è solo apparentemente perché quella che Leonard cerca è una verità per lui insostenibile.
Quando la visione diviene multipla, quando il campo di visuale si allarga e da un monologo si passa a un dialogo, si comprende che Leonard in realtà non cerca ma continua a scegliere una sua verità proprio grazie alle (de)potenzialità della mente (e del cinema).
La fotografia, da sola, non riesce a fissare degli attimi, dei ricordi, che invece hanno la proprietà di essere liquidi e in costante mutamento.
Leonard di fatto sceglie: sceglie di continuare a vivere ignorando che sua moglie è morta a causa sua e sceglie il proprio castigo rifugiandosi nell’erranza.
La stanza del figlio, N. Moretti – 2001
Ne La stanza del figlio, il momento in cui si decide il tutto viene drammaticamente sottolineato dal regista attraverso la messa in scena di ciò che sarebbe successo se il protagonista avesse scelto diversamente.
Giovanni[2] dopo la morte del figlio non è più in grado di fare ciò che invece lo caratterizzava: non riesce più a instaurare un dialogo costruttivo con i suoi pazienti, non riesce a scrivere la lettera alla fidanzatina di Andrea, non riesce più a condividere i suoi sentimenti con la moglie.
La morte di un figlio è un evento che va contro natura, un evento che nessun padre è fisicamente in grado di affrontare. Ma accade. E ciò che tormenta Giovanni è proprio il fatto che probabilmente è accaduto proprio a causa di una sua decisione.
Ma la scelta compiuta quella domenica mattina non è altro che il risultato di ciò che egli è: non avrebbe potuto scegliere altrimenti. E, quindi, il fatto che quella scelta sia stata decisiva, mette in crisi l’intera struttura emotiva e caratteriale del protagonista.
La riappacificazione avviene al termine di un lungo viaggio, fisico e mentale, che termina sulla riva di un fiume (il simbolo del cambiamento incontrollato e incontrollabile).
La La Land, D. Chazelle – 2016
In La La Land è chiaro che è nell’inizio che si scrive la fine ed è per questo che nella parte conclusiva viene messo in discussione tutto, dalla prima volta in cui i protagonisti condividono il piano (visivo e spaziale).
Ciò che viene presentato in La La Land è una vita come sincronizzazione di desideri, una vita che è necessariamente fatta di ponti sonori e di raccordi sullo sguardo (ed è per questo che la forma scelta è il musical).
Ed è proprio quando comincia a rompersi il rapporto visivo, la sincronia dello sguardo (e della mente, quindi) che i protagonisti di La La Land cominciano a perdersi e a non riuscire più a essere compresenti sullo stesso piano.
«Noi, adesso, dove siamo?»
È la domanda di Mia rivolta a Sebastian in un punto cruciale della narrazione. È una domanda apparentemente semplice, ma è dalla risposta data da Sebastian che si comprende che c’è stata una frattura: che i due protagonisti non sono più sincroni.
L’altrimenti ci viene presentato quando, dopo 5 anni, i protagonisti si rincontrano, con un raccordo sullo sguardo e un ponte sonoro, nuovamente.
https://www.youtube.com/watch?v=N42yeRAHaa4
Il cinema, a questo punto, mette in mostra la capacità che gli è propria: creare, dare corpo e immagine ai pensieri e ai rimpianti.
Cosa è, se non un atto di creazione, il fascio di luce proveniente da un proiettore? Agire o non agire sono entrambe delle scelte che definiscono il futuro e il cinema continua a essere l’arte che fisicamente riporta in vita i fantasmi, che dà corpo all’altrimenti.
«Ci sono fatti inalterabili. Sono nata. Faccio parte delle onde del mare. E alla fine anche la mia onda, come tutte le altre, finirà per frangersi contro la riva. È inevitabile. Ma, all’interno di questo schema, esiste la possibilità di operare delle scelte e il fatto che io le compia o trascuri di compierle serve già a definirmi»[3].
Il fatto che si abbia la possibilità di scegliere ci definisce come esseri pensanti e autonomi: propriamente umani.
Solo chi sceglie, osando, può continuare a dire di poter essere vivo. Nonostante le sconfitte e nonostante le ferite.
«And tonight, now I’ll see old friends
caught in things they got no chance to win
Just gettin’ beaten, and then playin’ again
‘Till their strength gives out
Or their hearts give in»
Cira Pinto
[1]Deleuze, Immagine-tempo.
[2] Come si è detto nello scorso articolo dedicato a Nanni Moretti, bisogna prestare attenzione sia alla scelta che l’autore fa per la colonna sonora ma anche ai nomi che dà ai protagonisti
[3] Liv Ullmann, Scelte, trad. it. a cura di Maria Giulia Castagnone, Milano, 1985, p. 17.