Alla produzione di Cartesio si fa tradizionalmente risalire l’inizio del razionalismo e della modernità, ovvero di quella fase della filosofia caratterizzata dalla centralità del soggetto e dall’affermazione della coscienza.
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Cartesio e gli anni giovanili
Nato nel 1596 a La Hale in Francia, il giovane Renè Descartes frequenta il collegio gesuitico di La Flèche dove riceve una solida formazione umanistica. Insoddisfatto della sua preparazione culturale, decide di arruolarsi come allievo volontario durante la Guerra dei Trent’Anni (1618-1648). Si stabilisce poi nel quartiere tedesco di Ulm. Qui inizia a dedicarsi interamente allo studio e alla critica della cultura tradizionale, ritenendo maturi i tempi per la costruzione di un nuovo sistema conoscitivo.
Il progetto di una mathesis universalis
L’intento del filosofo è la costruzione di un nuovo edificio del sapere capace di superare la frammentazione delle conoscenze e la crisi delle verità tradizionali. Con la rivoluzione scientifica di Copernico e Galilei si era, infatti, diffuso un clima di incertezza e precarietà circa le possibilità conoscitive dell’uomo.
Cartesio intende così consacrare la propria vita alla realizzazione di una mathesis universalis, cioè di una scienza universale in grado di organizzare ogni tipo di conoscenza in modo sistematico. La condizione perché la mente possa essere guidata alla verità è allora indicata dal filosofo nell’acquisizione di un metodo rigoroso dotato di un fondamento metafisico.
Cogito, ergo sum: la “scoperta” del pensiero
Il nuovo sistema della scienza non può che poggiare su una verità assolutamente certa, perché indubitabile, da cui ogni altra verità dovrà procedere. Attraverso l’esercizio del dubbio, metodico ed iperbolico, il filosofo dimostra che se è possibile ingannarsi su ogni dato sensibile o conoscenza acquisita, e persino sull’esistenza del mondo e del proprio corpo, c’è tuttavia qualcosa di cui essere certi:
Ma subito dopo mi resi conto che nell’atto in cui volevo pensare così, che tutto era falso, bisognava necessariamente che io che lo pensavo fossi qualcosa. E osservando che questa verità – penso, dunque sono – era così salda e certa da non poter vacillare […], giudicai di poterla accogliere senza esitazione come il primo principio della mia filosofia.
L’intuizione della certezza della propria esistenza consente di individuare il primo criterio della verità, l’evidenza, perciò le cose, le quali noi concepiamo in modo del tutto chiaro e distinto, sono tutte vere.
Anima e corpo: dalla res cogitans alla res extensa
Il fatto di intuire chiaramente che per dubitare bisogna esistere induce Cartesio ad affermare che l’essenza umana è il cogito, il pensiero o anima, e che l’uomo è una res cogitans, una sostanza pensante. Se per substantia si intende una realtà che esiste indipendentemente da ogni altra, allora non solo il pensiero, ma anche la res extensa, la materia inanimata, è una sostanza. Res cogitans e res extensa rappresentano due realtà parallele, soggiacenti a leggi proprie, oggetti di studio di scienze distinte. Se la sostanza pensante ha in sé il potere di agire liberamente da ogni forza esteriore, i corpi non sono che macchine governate da leggi di causa-effetto. Solo nell’uomo corpo e anima interagiscono armonicamente grazie all’azione della ghiandola pineale, che, secondo Cartesio, produce l’accordo fra stimoli sensoriali e rappresentazioni mentali.
Cartesio: l’uomo e la macchina del corpo
Il meccanicismo è utilizzato come modello interpretativo di tutta la realtà naturale. Anche il corpo umano è analizzato e concepito in base ai principi della meccanica razionale. Cartesio riduce tutte le funzioni biologiche – respirazione, digestione, circolazione sanguigna – a movimenti descritti secondo li funzionamento della “macchina”. Nell’uomo questo meccanicismo biologico è però interrotto dal pensiero, puro e libero, distinto dal corpo. È il pensiero che eleva l’uomo al di sopra di tutti gli enti naturali. Nella prima fase della sua filosofia, infatti, Cartesio considera gli animali alla stregua di automi che agiscono in risposta a stimoli esterni, istintivamente. Questi sono privi di tutte le qualità proprie della ragione umana, come il linguaggio, la creatività, l’universalità, dunque della coscienza.
[Negli animali non si dà] nessuna conoscenza delle cose, ma soltanto fantasia puramente corporea.
La dottrina degli animali-macchina. Gli animali hanno coscienza?
La dottrina degli animali-macchina è uno dei punti critici del cartesianesimo. Ad apparire subito inaccettabile agli occhi di molti intellettuali del tempo è la tesi che gli animali siano incapaci di provare dolore, perché privi di coscienza. Quest’affermazione, benché sostenuta da personalità autorevoli come Malebranche, sembra legittimare ogni sorta di crudeltà nei loro confronti.
La posizione di Cartesio sulla coscienza degli animali assume forme più prudenti nell’ultima fase della sua vita, caratterizzata dal lutto e dalla malattia.
Invitato alla corte di Svezia dalla regina Cristina, si ritira ad una vita privata e solitaria. Ma in una delle sue passeggiate mattutine in spiaggia, il filosofo incontra – ironia della sorte – un cane. Subito divenutogli devoto, il segugio gli cammina di fianco fino a casa, ogni mattina. Cartesio si risolve infine a prenderlo con sé. La fedele compagnia di “Monsieur Grat” convince gradualmente il pensatore ad ammettere la radicalità delle sue considerazioni sugli animali, giungendo a riconoscere loro la forza dell’emotività, la potenza dei sentimenti e un principio di vita cosciente.
Martina Dell’Annunziata
Bibliografia
Cartesio, Opere filosofiche, a cura di E. Garin, Roma-Bari 2003.
Descartes R., Discorso sul metodo, Diottrica, Meteore, Geometria. UTET, Torino 1983.
Cartesio, Regole per la guida dell’intelligenza. Bompiani, Milano 2000.