La prefazione a l’Amante di Gramigna e a I Malavoglia

Giovanni Verga presenta la letteratura come “Indagine sociale e documento umano” nelle prefazioni a l’Amante di Gramigna e a I Malavoglia.

L’amante di Gramigna Verga
Giovanni Verga, autore di L’Amante di Gramigna e de I Malavoglia

Il Verismo, in senso generico, si caratterizza per l’aderenza alla realtà, vista senza pregiudizi anche nei suoi aspetti più crudi, nell’ambito della rappresentazione letteraria e artistica. Come corrente letteraria, il Verismo si sviluppa in Italia nella seconda metà dell’Ottocento come reazione realistica all’idealismo tardo romantico.

Il Verismo è il corrispettivo italiano del Naturalismo francese di cui accolse teoricamente le istanze sociali e l’esigenza di una narrazione rigorosamente oggettiva. Abbiamo già visto come alcuni autori francesi hanno presentato il metodo naturalista attraverso le prefazioni alle loro opere; vediamo ora come il Verismo viene presentato nelle prefazioni da Giovanni Verga, considerato il maggior esponente di questa corrente letteraria.

Il Verismo dalle prefazioni di Verga

Prefazione a “L’amante di Gramigna”

Il Verismo
Sicilia rurale fotografata da Giovanni Verga 1897

“L’amante di Gramigna” è una novella che Giovanni Verga pubblicò nel febbraio 1880 sulla “Rivista minima” di Salvatore Farina.

Si racconta l’amore fatale tra Peppa e il brigante Gramigna sullo sfondo della Sicilia rurale del tempo. La novella è preceduta da una fondamentale prefazione che insieme alla novella “Fantasticheria” costituisce il nucleo teorico della raccolta “Vita dei campi” e della poetica del Verismo.

La prefazione a “L’amante di Gramigna” è una lettera indirizzata proprio a Salvatore Farina, in cui sintetizza con precisione i punti cardinali della poetica verista. Dopo aver definito il proprio testo un “abbozzo di racconto” ed averne indicato la radice in eventi storici realmente avvenuti, lo scrittore catanese esplicita le coordinate essenziali della sua poetica da Vita dei campi” in poi.

“Caro Farina, eccoti non un racconto, ma l’abbozzo di un racconto. Esso almeno avrà il merito di esser brevissimo, e di esser storico – un documento umano, come dicono oggi; interessante forse per te, e per tutti coloro che studiano nel gran libro del cuore. Io te lo ripeterò così come l’ho raccolto pei viottoli dei campi, press’a poco colle medesime parole semplici e pittoresche della narrazione popolare, e tu veramente preferirai di trovarti faccia a faccia col fatto nudo e schietto, senza stare a cercarlo fra le linee del libro, attraverso la lente dello scrittore”

In accordo con il Naturalismo dei suoi modelli francesi, Verga si propone nella prefazione di L’Amante di Gramigna di far scomparire la “lente” autoriale nella narrazione e nell’interpretazione dei fatti: in tal modo, proponendo ai propri lettori un “documento umano”, con parole semplici e pittoresche del popolo con cui mettere in luce lo studio delle passioni l’autore può arrivare al “fatto nudo e schietto”, riprodotto sulla pagina nella sua autenticità.

“Si arriverà mai a tal perfezionamento nello studio delle passioni, che diventerà inutile il proseguire in cotesto studio dell’uomo interiore? La scienza del cuore umano, che sarà il frutto della nuova arte, svilupperà talmente e così generalmente tutte le virtù dell’immaginazione, che nell’avvenire i soli romanzi che si scriveranno saranno i fatti diversi?”

L’obiettivo, in pieno clima positivistico, pone in concorrenza la letteratura e le produzioni artistiche con le scienze esatte, che con i loro metodi possono garantire l’attendibilità e l’oggettività dei risultati.

Per l’autore di L’Amante di Gramigna, l’arte verista deve perseguire i propri obiettivi artistico-letterari “con scrupolo scientifico”, rifiutando l’analisi psicologica, o meglio ipotizzando che anche questa debba ispirarsi a criteri di oggettività scientifica. Nella parte finale la prefazione giunge ad individuare lo strumento più proprio per la letteratura del futuro e a definire un altro caposaldo della scrittura verista:

“Quando nel romanzo l’affinità e la coesione di ogni sua parte sarà così completa, che il processo della creazione rimarrà un mistero, come lo svolgersi delle passioni umane, e l’armonia delle sue forme sarà così perfetta, la sincerità della sua realtà così evidente, il suo modo e la sua ragione di essere così necessarie, che la mano dell’artista rimarrà assolutamente invisibile, allora avrà l’impronta dell’avvenimento reale, l’opera d’arte sembrerà essersi fatta da sé, aver maturato ed esser sòrta spontanea, come un fatto naturale, senza serbare alcun punto di contatto col suo autore, alcuna macchia del peccato d’origine.”

Verga tiene a sottolineare nella prefazione a L’Amante di Gramigna che il legame oscuro tra cause ed effetti è oggetto di studio, ed è il metodo la vera innovazione e non l’argomento: la mano dell’autore diventa invisibile come se l’opera si sia fatta da sola, sorta come un fatto naturale.

Prefazione a “I Malavoglia”

Il VerismoSecondo la solita pratica di anteporre ai propri testi inventivi gli adeguati strumenti teorici che ne spieghino motivazioni e finalità, anche il più celebre dei romanzi di Verga “I Malavoglia”, pubblicato dall’editore milanese Treves nel febbraio del 1881, è corredato di una celebre prefazione significativa.

Essa si sofferma su alcuni punti fondamentali per comprendere al meglio il metodo e le finalità veristein cui si uniscono due dei principali interessi di ricerca di Verga, attivi sin dagli anni di composizione delle novelle: l’interesse per la “questione meridionale” e la presenza di un concreto mercato popolare cui rivolgersi.

“Questo racconto è lo studio sincero e spassionato del come probabilmente devono nascere e svilupparsi nelle più umili condizioni, le prime irrequietudini pel benessere; e quale perturbazione debba arrecare in una famigliuola vissuta fino allora relativamente felice, la vaga bramosìa dell’ignoto, l’accorgersi che non si sta bene, o che si potrebbe star meglio.”

Parlando dell’incessante bramosia d’ascesa sociale, l’osservatore del tentativo di scalata sociale dei personaggi può rappresentarla e non giudicarla. L’indagine sociologica si fonde così con l’invenzione romanzesca: la vicenda dei Malavoglia illustra come l’affermazione del benessere moderno non sia esente da una serie di tragedie silenziose che colpiscono i più deboli, soprattutto quand’essi s’arrischiano fuori dal loro mondo chiuso e ristretto.

La famiglia siciliana di cui stiamo per conoscere le drammatiche sorti è allora un perfetto exemplum di come operi la “fiumana del progresso”, sin dagli scalini più bassi della scala sociale; al tempo stesso, l’evocazione dei Malavoglia permette al romanziere di annunciare al proprio pubblico quali saranno le altre sue fatiche letterarie:

 “Il meccanismo delle passioni che la determinano in quelle basse sfere è meno complicato, e potrà quindi osservarsi con maggior precisione…Man mano che cotesta ricerca del meglio di cui l’uomo è travagliato cresce e si dilata, tende anche ad elevarsi, e segue il suo moto ascendente nelle classi sociali. Nei Malavoglia non è ancora che la lotta pei bisogni materiali. Soddisfatti questi, la ricerca diviene avidità di ricchezze, e si incarnerà in un tipo borghese, Mastro-don Gesualdo, incorniciato nel quadro ancora ristretto di una piccola città di provincia, ma del quale i colori cominceranno ad essere più vivaci, e il disegno a farsi più ampio e variato.”

Chi osserva però, deve essere onesto e sincero nel narrare e Verga ha l’idea che si debba partire dall’osservazione e dallo studio di esseri più semplici come quelli delle classi popolari per poi un giorno passare ad esseri più complessi come quelli delle classi borghesi. Definito l’argomento, la forma del racconto deve adeguarsi all’oggetto di narrazione perché l’autore scompaia dietro di esso perché il romanzo “sappia” e abbia l’odore del ceto rappresentato.

“A misura che la sfera dell’azione umana si allarga, il congegno delle passioni va complicandosi; i tipi si disegnano certamente meno originali, ma più curiosi, per la sottile influenza che esercita sui caratteri l’educazione, ed anche tutto quello che ci può essere di artificiale nella civiltà. Persino il linguaggio tende ad individualizzarsi, ad arricchirsi di tutte le mezze tinte dei mezzi sentimenti, di tutti gli artifici della parola onde dar rilievo all’idea, in un’epoca che impone come regola di buon gusto un eguale formalismo per mascherare un’uniformità di sentimenti e d’idee. Perchè la riproduzione artistica di cotesti quadri sia esatta, bisogna seguire scrupolosamente le norme di questa analisi; esser sinceri per dimostrare la verità, giacchè la forma è così inerente al soggetto, quanto ogni parte del soggetto stesso è necessaria alla spiegazione dell’argomento generale.”

Verga non nega l’effetto mirabile delle grandi rivoluzioni economiche e sociali che stanno cambiando il mondo di fine Ottocento piuttosto, egli sottolinea come il risultato complessivo di questa impetuosa “fiumana” possa nascondere le vicende individuali di chi è stato scalzato e sconfitto. Verga vuole insomma denunciare le contraddizioni sottese alla società a lui contemporanea:

“Il cammino fatale, incessante, spesso faticoso e febbrile che segue l’umanità per raggiungere la conquista del progresso, è grandioso nel suo risultato, visto nell’insieme, da lontano…Il risultato umanitario copre quanto c’è di meschino negli interessi particolari che lo producono; li giustifica quasi come mezzi necesario a stimolare l’attività dell’individuo cooperante inconscio a beneficio di tutti. Ogni movente di cotesto lavorìo universale, è legittimato dal solo fatto della sua opportunità a raggiungere lo scopo del movimento incessante; e quando si conosce dove vada questa immensa corrente dell’attività umana, non si domanda al certo come ci va.”

Il “ciclo dei vinti” ha allora qui la sua formulazione teorica e letteraria: la “lotta per l’esistenza”, ad ogni livello socio-economico, sarà il vero obiettivo della creazione romanzesca. Eppure, a chi contempla e racconta tale “spettacolo” non è concesso il giudizio ma solo l’arduo compito di descrivere uomini e cose nella maniera più “vera” ed autentica possibile:

“Chi osserva questo spettacolo non ha il diritto di giudicarlo; è già molto se riesce a trarsi un istante fuori del campo della lotta per studiarla senza passione, e rendere la scena nettamente, coi colori adatti, tale da dare la rappresentazione della realtà come è stata, o come avrebbe dovuto essere.”

Il Verismo e il Naturalismo

Abbiamo detto che il Verismo è il corrispettivo italiano del Naturalismo francese: entrambi del secondo Ottocento, si basano sul vero e gli autori si propongono di raccontare la realtà così com’é senza abbellirla.

Bisogna però chiarire le dovute differenza tra le due correnti; il Naturalismo si sviluppa in Francia in una società industriale e in un contesto cittadino e l’oggetto di narrazione è la vita del proletariato urbano. Il Verismo invece ha a che fare con una realtà, quella italiana, arretrata economicamente e in un contesto rurale rappresenta le condizioni di miseria e sfruttamento di un sottoproletariato fatto di contadini e pescatori.

Nel Verismo italiano non troviamo l’idea di progresso che troviamo nel Naturalismo francese: i naturalisti nutrivano una certa fiducia nel progresso mentre per i veristi un miglioramento delle condizioni di vita sembra impossibile, infatti, nelle loro narrazioni quando un personaggio di umile condizione tenta la scalata sociale finisce quasi sempre in tragedia.

 

Maurizio Marchese

Fonti:

Verga, Vita dei campi, Oscar Classici Mondadori, 1997

Giovanni Verga, I Malavoglia, a cura di Salvatore Guglielmino, Ed. Principato, Milano, 1985.

http://www.oilproject.org/lezione/prefazione-malavoglia-riassunto-verismo-verghiano-5281.html

http://www.oilproject.org/lezione/l-amante-di-gramigna-di-giovanni-verga-analisi-della-prefazione-5249.html

Immagini: google