La riflessione politica di Karl Marx, prima di approdare alla teorizzazione del comunismo, si sofferma sulla democrazia. Le sue acute critiche e valutazioni infatti si aggirano, ancora oggi, come “spettri” intorno alle possibilità di tenuta della democrazia nel mondo contemporaneo.
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Karl Marx e il problema politico della modernità: Stato politico e società civile
Come i cristiani sono eguali in cielo e ineguali in terra, così i singoli membri del popolo sono eguali nel cielo del loro mondo politico e ineguali nell’esistenza terrena della società.
La separazione tra Stato politico e società civile è la base di partenza per la riflessione politica marxiana sulla modernità. Ma perché la vita civile e quella politica sono in contraddizione? La società civile, hegelianamente, è “il campo di battaglia dell’interesse privato individuale di tutti contro tutti”. Lo Stato politico, al contrario, è il regno dell’interesse generale. Questa contraddizione si ripercuote sull’individuo, che è contemporaneamente membro della società civile e dello Stato politico.
Come può allora operare praticamente? Concretamente, la vita “reale” della società civile prevale sulla sfera statale che, essendo formale e astratta, funge da abbellimento allo strato egoistico della vita civile. Lo strato della società civile è più pesante e denso, in poche parole, più “vero”.
Una distinzione da “storicizzare” e l’avvento dello Stato moderno-formale
La scissione si genera con la modernità, infatti nel medioevo “la società civile era la società politica”. Ogni sfera privata aveva un carattere politico e la gerarchia sociale era gerarchia politica, poiché il proprietario terriero è anche politicamente signore. La cesura, di fatto, avviene solo con la Rivoluzione francese, ove le differenze della vita privata diventano senza significato per la vita politica.
Lo Stato moderno-costituzionale, promanazione dei moti rivoluzionari di fine ‘700, col suo interesse generale, è una sagoma a lato della vita reale. È lo Stato in cui l’affare generale diventa il monopolio di una ristretta cerchia di persone e, di converso, “i monopoli sono affari generali”. La politica è una sfera chiusa che non tocca l’esistenza quotidiana, creando un vuoto di sovranità laddove si afferma il potere di chi domina “materialmente”, cioè i borghesi.
La costituzione democratica e la dissoluzione della scissione
L’unica via per superare l’astrazione dello Stato politico è la democrazia, vista come la verità di tutte le costituzioni: se la costituzione sgorga sempre dalla vita di un popolo, nella democrazia lo è in modo cosciente e concreto.
Qui la politica non è più un universale astratto che si sopraeleva dagli aspetti vivi e concreti dell’esistenza quotidiana, che sembra sottometterli quando invece ne è sottomessa, ma è un modo tra i tanti della vita del popolo, un qualcosa di concreto.
È il cosiddetto “universale reale”. La politica democratica, allora, è un’attività di autoregolazione del popolo che, contemporaneamente, lo compenetra e impregna, ma lo fa come attività che si pone sullo stesso piano di tutte le altre attività quotidiane.
Soltanto nell’elezione illimitata, sia attiva che passiva, la società civile si solleva realmente all’astrazione da sé stessa […]. La riforma elettorale è dunque, entro lo Stato politico astratto, l’istanza del dissolvimento di questo, come parimenti del dissolvimento della società civile.
La distinzione svanisce, i due campi separati dalla modernità vengono fusi, mostrando il superamento dell’alienazione. È così che avviene il raggiungimento della tanto agognata emancipazione umana.
Sulla questione ebraica: lo Stato liberale-borghese e la critica della democrazia
Nel saggio Sulla questione ebraica Karl Marx si distacca drasticamente dalla visione precedente, costruendo le basi per il futuro sviluppo del comunismo.
L’emancipazione politica – la conquista dell’uguaglianza politica e giuridica di tutti i cittadini – non è emancipazione umana. Nello Stato liberale gli individui sono politicamente eguali, ma socialmente ineguali. Questa neutralizzazione del valore giuridico-politico delle differenze sociali si salda con un’atomizzazione degli individui, aventi diritti come singoli e non come appartenenti a un ceto.
Non ponendosi il problema di superare le diseguaglianze socio-economiche, “lo Stato lascia che la proprietà privata, l’educazione, l’occupazione operino nel loro modo e facciano valere la loro particolare essenza”. In questo modo i diritti dell’individuo-proprietario vengono posti sullo stesso piano di quelli del cittadino-sovrano.
Perché fa ciò? La dichiarazione del 1789 afferma che lo scopo di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali e imprescindibili dell’uomo. Quali sono questi diritti? Si elencano esplicitamente: la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza all’oppressione.
I diritti politici, per Karl Marx, sono allora subordinati a quelli dell’uomo privato. La libertà liberale/negativa è definita come “il diritto di fare tutto ciò che non nuoce ad altri” ed è pensata come una sorta di limitazione reciproca. Questa libertà è davvero scarna e, marxianamente, va sostituita con un concetto di libertà che permetta agli individui di controllare le circostanze della loro vita e di essere inseriti in ambienti consoni a sviluppare le loro capacità.
La libertà liberale, concepita come un confine che protegge dall’intrusione altrui, vede nell’altro uomo una minaccia potenziale verso sé stessi. Il diritto dell’uomo si basa, dunque, non sul legame dell’uomo con l’uomo, ma sull’isolamento dell’uomo con l’uomo. La libertà liberale ha la sua concretizzazione pratica nel diritto alla proprietà privata, nell’eguaglianza giuridica (respingendo l’eguaglianza materiale) e nella sicurezza.
L’inadeguatezza della democrazia: l’emancipazione sognata e sfumata
Il limite della democrazia risiede nella sua configurazione costitutiva, nel fatto che i diritti politici presuppongono e tutelano quelli civili. La rivoluzione francese ha liberato l’individuo dai nessi feudali (dai vincoli economici-giuridici, contemporaneamente politici e civili), creando però sia il libero individuo indipendente, legato agli altri da rapporti contrattuali stretti sul mercato, che il libero cittadino, legato agli altri dal contratto politico. Queste due figure sono co-originarie e inscindibili, frutto dello stesso processo/rivoluzione.
L’eguaglianza politica, principio-essenza della democrazia, non basta all’emancipazione umana, e non basta proprio perché, nascendo dalla rivoluzione francese, deve constatare e tutelare la società civile. L’eguaglianza politica è complementare e sinergica alla diseguaglianza materiale, è quell’eguaglianza formale che, di fatto, sprofonda davanti al fardello dell’esistenza reale, soccombendo ad essa.
Non è una beffa – si chiederà Karl Marx – per chi non ha da vivere ed è costretto a vendere la propria forza-lavoro, essere dichiarato cittadino sovrano? La risposta a questo dilemma sarà formulata con la critica capitalistica e la teorizzazione del comunismo.
Nicola Abate