La storia insegna che l’uomo, in tempi di crisi economica o culturale, è naturalmente portato a “riciclare”, o per meglio dire “rifunzionalizzare”, il passato e le sue tracce. Basti pensare all’epoca romana: il celeberrimo Arco di Costantino altro non è che il risultato del “riciclo” di vecchi materiali risalenti all’epoca di Traiano, Adriano e Marco Aurelio. Tale fenomeno si accentuò, chiaramente, nel Medioevo: marmi, colonne, sarcofagi furono reimpiegati per nuovi monumenti. Tale rifunzionalizzazione del passato è tangibile anche nella città di Neapolis: parliamo dell’antico tempio dei Dioscuri, oggi basilica di San Paolo Maggiore.
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La chiesa oggi
Partiamo dal presente: la chiesa si colloca in piazza San Gaetano, lungo l’antico decumano maggiore. L’attuale piazza si trova nel punto in cui, molto probabilmente, sorgeva uno dei due fori di Napoli, di cui parleremo.
Una prima struttura fu costruita, sull’antico tempio dei Dioscuri, attorno all’VIII-IX sec. d.C., per celebrare la vittoria dei napoletani sui Saraceni. La chiesa così come oggi appare, però, vede la sua nascita in epoca spagnola, nel XVI sec. Resti dell’antico tempio, tuttavia, permangono.
L’antico tempio dei Dioscuri
L’edificio di culto pagano risale al V sec. a.C., nell’epoca di massima fioritura della città greca. Fu poi restaurato in età tiberiana: il culto dei figli di Zeus, infatti, assunse grande importanza da Augusto in poi.
La collocazione temporale del restauro è possibile grazie ad un’epigrafe (greca, come la città!) che è sopravvissuta in frammenti e si trova, attualmente, al Museo Archeologico Nazionale di Napoli:
« Tiberio Giulio Tarso (fece costruire) in onore dei Dioscuri e della Pòlis il tempio e tutto quanto è in esso / Pelagon liberto e procuratore dell’imperatore, avendolo finito a sue spese, lo dedicò. »
L’iscrizione è importante perché, oltre a indicare l’epoca in cui il tempio fu ricostruito, testimonia il tipo di culto che, in età imperiale, i Dioscuri ricevettero: un culto statale, gestito dai liberti.
Il primo edificio cristiano
Come detto in precedenza, il tempio fu “sommerso” dalla nascente basilica cristiana attorno al IX sec. I cristiani di Napoli innalzarono la loro chiesa immediatamente dietro il pronao del tempio, che non distrussero.
La chiesa, infatti, seguiva in origine la struttura pagana: era ampia quanto il tempio, divisa in tre navate dalle 18 colonne romane e conservava anche la facciata, con le altre colonne corinzie e l’iscrizione di Tiberio. Furono sostituite (o meglio, “sotterrate” sotto i busti di Paolo e Pietro) solo le due statue degli dèi, che cozzavano non poco con l’edificio cristiano.
La basilica in età spagnola
Il tempio, sotto alla chiesa, sopravvisse a lungo. Ancora nel 1540, infatti, la chiesa conservava le colonne, la facciata e l’iscrizione.
Ciò è testimoniato da una ricostruzione dell’antico tempio di Francesco di Hollanda, il quale fu così accurato da trascrivere perfettamente l’iscrizione di Tiberio. Questo schizzo, dunque, permette di leggere l’epigrafe che oggi è frammentaria e dimostra che, se Francesco di Hollanda fu capace di trascrivere l’iscrizione per intero, essa era ancora collocata integra sulla facciata della chiesa.
Il terremoto: la distruzione della facciata
Quand’è che, dunque, la chiesa assunse l’aspetto attuale? Una catastrofe si abbatté su Napoli nel 1688: la città fu colpita da un terribile terremoto, che distrusse quasi del tutto la facciata della basilica di San Paolo.
Delle otto colonne romane sopravvissute, solo quattro rimasero in piedi con la base; successivamente, altre due colonne furono rimosse nel 1712. Attualmente, dunque, la chiesa presenta solo due colonne corinzie, e la base di altre due perdute.
La lezione del passato
La storia della basilica di San Paolo è illuminante per noi moderni: dimostra, infatti, che il mondo cristiano non distrusse il passato pagano, ma seppe “riutilizzarlo” dal punto di vista materiale e culturale. I resti del passato di Napoli sono tangibili in ogni angolo del centro storico, tra decumani e piazze, e dimostrano l’antichità, il fasto e il livello artistico della città greco-romana.
La storia di Neapolis, così, è tutt’oggi incastonata nei moderni edifici, secondo quella logica di “stratificazione” che caratterizza da sempre la nostra città: tocca poi a noi notarla, osservarla e tutelarla con amore.
Alessia Amante