Tomcat: l’ultimo spettacolo di Rosario Sparno
“Tomcat”, drammaturgia di un giovane autore inglese, in scena al Mercadante per la regia di Rosario Sparno
Tomcat racconta la storia di Jessie, una ragazzina di dodici anni. Adolescente, curiosa, arguta. Niente di anomalo. Sua madre era una disertrice, morta suicida, definita in base a determinati criteri di medicina psicologica una “psicopatica”. Ma il contesto, come sempre, mette ogni cosa al proprio posto.
Disertrice di cosa? Di un rigido sistema figlio di un ipotetico futuro issato sull’illusione che non esista nulla che non possa essere registrato o previsto. Il suicidio trova un diverso perché in una circostanza così immaginata. La psicopatia è una faccenda troppo impegnativa rispetto alla complessità di un individuo per poterla banalizzare come fosse un’influenza.
Ad ogni modo, tramite screening periodicamente somministrati ai cittadini che non possono in alcun modo rifiutare la pratica, la suddetta società pretende non solo di mantenere il controllo sulle azioni effettive, ma anche su quelle possibili, e non solo su chi le può compiere, ma anche su chi ancora deve nascere.
La madre di Jessie non vuole stare alle regole di questa partita: si sottrae al gioco, scappa, vive nascondendosi. Uccide un uomo. Potrebbe essere davvero pazza, o potrebbe essere solo spaventata; potrebbe essere legittima difesa, o potrebbe essere stata indotta ad uno stato di perdita del controllo. Potrebbero essere molte cose, non si può concludere la faccenda con una soluzione definitiva e sommaria.
Il team di psicologi che tiene sotto controllo Jessie, invece, sembra avere certezze assolute ed invalicabili. Se la propensione artistica della ragazzina è parte del suo corredo genetico, lo sarà allora anche la psicopatia. La madre di Jessie era psicopatica, quindi Jessie lo è potenzialmente. Pertanto, non solo va monitorata, ma anche studiata, essendo oramai uno degli ultimi esseri umani nati “disturbati” in quanto i rigidi controlli, in genere, linciano il problema sul nascere. Analizzare lei, vuol dire capire come evitare ulteriori gap futuri. Che poi Jessie non sia in grado di costituire, al momento, un pericolo effettivo, è un dato superfluo. Jessie non è una ragazzina. Jessie è un “caso”.
È un topo da laboratorio. Anzi, un gatto. TomCat. Per la precisione, il gatto del suo infermiere, Tom, che si occupa di lei come farebbe con un animale domestico: la lava, la copre, la coccola, la sgrida, la culla e infine le si affeziona anche.
I dubbi tormentano quanti seguono la vicenda, (spettatoti e personaggi), e sono di così intesa e diversa natura che è difficile capire anche su cosa bisogni interrogarsi.
Fino a che punto si nasce con la “rotella spostata”, o fino a che punto questa si può spostare in seguito agli eventi vissuti o per le pressioni circostanti, a volte atte a cercare di capire se questa si potrebbe mai spostare?
Complementare alla vicenda principale, è quella privata del giovane medico che assume il controllo del team di specialisti incaricati di studiare Jessie. Charlie (Rosario Sparno) ha una moglie incinta sottoposta a continui controlli, e non è meno degli altri una vittima (probabilmente inconsapevole) del sistema che sembra tanto appoggiare ed in parte anche gestire.
Il comodo sistema di sovra-palco della sala del ridotto Mercadante, dove lo spettacolo è andato in scena dal 5 al 15 ottobre 2017, ha reso possibile l’alternanza fra la vita di Jessie e il quadretto familiare di Charlie con tecnica quasi cinematografica, passando da una scena all’altra come in un film.
Il giovane James Rushbrooke scrive un testo molto più contemporaneo di quanto sembri all’apparenza, che Rosario Sparno porta in scena con una regia quasi migliore della drammaturgia stessa, poggiando sul contributo di tutti validi interpreti (Francesca de Nicolais, Fabiana Fazio, Luca Iervolino, Elisabetta Pogliani) in grado di suscitare un veloce coinvolgimento emotivo da parte del pubblico, che da subito inizia a tifare per Jessie.
Quasi impossibile non notare la scelta cromatica che opta per il rosso fuoco, colore che caratterizza la casa di Charlie e gli stessi personaggi, tutti connotati da un simbolico segno di appartenenza e soggiogazione allo stesso sistema: dei calzini rossi.
Quanto il lavoro della società sulle nostre menti può condizionare non solo le nostre vite, ma anche i nostri sentimenti, che arriviamo a non essere più in grado di vivere davvero? E se fosse inutile cercare di controllare ciò che può in comunque i casi sfuggire al controllo? E se ci dimenticassimo quanto siamo vulnerabili esseri umani? E se sbagliassimo?
Alla fine della pièce è difficile non pensare che tutti, chi a fin di bene, chi perché senza alternative, chi per cattiva organizzazione, chi con superficialità, chi per vigliaccheria, tutti, in un modo o nell’altro, hanno sbagliato. Ma l’aver suscitato tutte queste domande rientra comunque fra migliori compiti cui può assolvere il teatro.
Teatro Mercadante – (sito ufficiale)
Letizia Laezza