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The Truman Show anticipa i Reality Show
Si può leggere il film The Truman Show in chiave filosofica?
Questo film del 1998, diretto da Peter Weir e interpretato da Jim Carrey, è stato considerato come un anticipatore di una società esasperata dai media e dalla TV. Nella nostra società, infatti, finzione e realtà si confondono fra di loro, sino a rendersi del tutto indistinguibili.
In una civiltà sbilanciata verso l’apparire piuttosto che l’essere, i programmi televisivi che ottengono maggiore audience sono i “Reality Show”, come “Il Grande Fratello”. L’ obiettivo di tali programmi è quello di improvvisare una vita relazionale, in un ambiente creato ad hoc per l’occasione. I protagonisti che ne prendono parte vivono in condizioni di libertà limitata. I telespettatori da casa possono seguire le loro attività giorno e notte attraverso gli schermi TV. Tutto ciò che accade è considerato “vero” anche se totalmente controllato.
Attraverso l’analisi del film, possiamo dunque cogliere questa logica televisiva e, ad lettura più attenta, potremmo addirittura rintracciare elementi di richiamo alla filosofia di Platone. In particolar modo ritroviamo tracce del mito della caverna, nonché la contrapposizione tra mondo vero e mondo apparente.
La trama di The Truman Show
Il protagonista del film, Truman, crede di vivere una vita normale, invece non sa di essere costantemente ripreso da telecamere e quindi sotto gli occhi di tutto il mondo.
La sua vita, infatti, è al centro di uno show televisivo, il The Truman Show. La città in cui vive è un gigantesco studio televisivo diretto dal regista Christof, una sorta di demiurgo che plasma la vita di Truman a suo piacimento.
In questo senso è come se Truman fosse all’interno di una caverna e concepisse come reale ciò che non lo è. Truman ignora che al di fuori di quel mondo ci sia un’altra vita, ma cosa accadrebbe se scoprisse la verità?
Platone e il mito della caverna in The Truman Show
Potremmo dire, con una metafora platonica, che Truman vive in una caverna nella quale è imprigionato. Solo che non sa di essere uno schiavo, fino a quando, liberandosi dalle catene, scopre la verità. Il protagonista del film ci ricorda infatti un po’ uno schiavo nella caverna descritta da Platone nel settimo libro della Repubblica.
Per cercare di capire il parallelismo tra il film e questa teoria del filosofo, è necessario ricordare brevemente il mito della caverna. Il regista Peter Weir ha, infatti, letto La Repubblica prima di scrivere la sceneggiatura del film.
Immaginiamo vi siano schiavi incatenati in una caverna sotterranea e costretti a guardare solo davanti a sé. Sul fondo della caverna si riflettono immagini di statuette, che sporgono al di sopra di un muro alle spalle dei prigionieri. Dietro il muro si muovono, senza farsi vedere, i portatori delle statuette. Più in là brilla un fuoco che rende possibile il proiettarsi delle immagini sul fondo. I prigionieri scambiano le ombre per la sola realtà esistente. Se uno di essi riuscisse a liberarsi dalle catene, voltandosi, si accorgerebbe delle statuette e capirebbe che esse, e non le ombre, sono la realtà. Inoltre, risalendo verso l’ingresso della caverna, egli scoprirebbe che le stesse statuette non sono reali, in quanto sono a loro volta imitazioni di cose reali. Uscito dalla caverna si renderebbe conto che fuori c’è un mondo vero e, a fronte di ciò, cercherebbe di avvisare gli altri uomini incatenati di quanto visto. Questi ultimi, però, prima lo deriderebbero per poi ucciderlo.
Lo schiavo liberato è dunque il filosofo, che riesce ad andare oltre l’apparenza per cercare la verità. Per suo dovere dovrebbe rivelare poi la verità scoperta anche agli altri uomini che, offuscati dalle ombre e dalla falsità, non la capirebbero. Questo riferimento in Platone ricorda la sorte destinata a Socrate.
Truman come schiavo liberato
Nel corso del film, Truman comincia ad avere una serie di dubbi sulla reale esistenza del suo mondo. Vari indizi tramutano poi i suoi dubbi in realtà. Capisce di aver vissuto per trent’anni in un mondo falso, con false relazioni, falsi amici, un falso lavoro, una falsa vita.
Tuttavia, sa bene che in questo mondo, seppur finto e illusorio, è al sicuro, poiché il regista non può di certo mettere a repentaglio la vita del suo attore principale. Ecco che si presenta dinanzi a Truman una scelta importante: restare in questo mondo falso, ma tranquillo, oppure affrontare la vera e cruda realtà.
Al tranquillo mondo falso del programma, Truman sceglie quello vero e, dopo aver attraversato un mare in tempesta generato dal creatore dello show per fermarlo, lascia lo studio, lanciandosi nel mondo reale.
Truman è allora come lo schiavo della caverna che si è liberato delle catene. Ha preferito il mondo reale, crudo e cattivo, a quello illusorio e tranquillo del mondo apparente. La sua scelta, come quella dello schiavo, è rischiosa: gettarsi nella verità non è semplice e spesso può portare a gravi conseguenze. Gli viene, però, resa la libertà, che gli permette di guardare alle cose con più chiarezza e lo rende più responsabile.
Possiamo dunque cogliere diversi insegnamenti da Platone e da Truman: liberarci dalle catene che il mondo ci impone, riuscendo a pensare liberamente e senza lasciarci manipolare dagli altri o dalla TV. Oltre, a ciò, riuscire a capire che dietro l’apparenza ci può essere un’altra realtà. La verità, seppur più dolorosa e violenta, è preferibile alle illusioni create semplicemente per plasmarci.
Anna Laprano
Bibliografia
Platone, La Repubblica, Laterza editore, 2007.