La città che ammiriamo in superficie è solo uno dei mille volti di Napoli. Come è risaputo, infatti, la storia dell’antichissima Neapolis è un continuo sovrapporsi di strati “vecchi” su strati “nuovi”, una sorta di stratificazione archeologica. E in effetti è proprio così: bisogna immergersi nel sottosuolo di Napoli per scoprire un’altra città, la Napoli sotterranea.
Indice dell'articolo
Quale “Napoli sotterranea”?
Parlare di Napoli sotterranea necessita di una precisazione: è chiaro che ovunque, sotto la città, si estendono cave antiche, cunicoli e gallerie, perché il sottosuolo di Napoli è impiegato dai tempi della preistoria per ricavare pietre vulcaniche, adatte alla costruzione degli edifici. Per convenzione, dunque, indicheremo come “Napoli sotterranea” la zona archeologica greco-romana al di sotto di Piazza San Gaetano.
L’area archeologica sotto San Paolo Maggiore
Alla zona di Piazza San Gaetano corrispondono i due antichi fori di Napoli, uno destinato alle attività religiose e l’altro alla vita civile. Partendo dal primo, molto è stato detto sull’antico Tempio dei Dioscuri e sul teatro della città romana. Ancora al di sotto di queste costruzioni, tuttavia, si apre come in uno squarcio un complesso sistema di cisterne e cunicoli: sono le tracce di presenza greca a Napoli.
Scendendo molto al di sotto del piano di calpestio, si entra quasi in un’altra città, enorme e strutturata. Si contrappongono tra loro spazi apertissimi e piccoli cunicoli, gigantesche grotte e piccole gallerie. Queste tracce, chiaramente, risalgono a diverse fasi della città.
Le “cisterne” greche
Cronologicamente parlando, furono le cisterne ad essere costruite (o meglio, sventrate) per prime. Come si sa, il sottosuolo di Napoli è costituito in gran parte da rocce vulcaniche, per la massiccia presenza di attività vulcanica in Campania (Vesuvio, Campi Flegrei, Monte Echia). I Greci colonizzatori di Napoli intuirono ben presto che questa roccia era perfetta per la costruzione degli edifici e delle mura della città: se ci si reca a Piazza Bellini, ad esempio, è facile notare che il frammento di mura rinvenute è chiaramente in tufo.
Il reimpiego: l’acquedotto romano
Lungo i secoli, così, al di sotto dell’area dell’agorà si accumularono enormi spazi aperti, creati dallo sventramento della pietra vulcanica. Giunti i Romani, i nuovi colonizzatori, più ingegneri che artisti, pensarono bene di sfruttare il sottosuolo di Napoli per far passare le acque di un acquedotto: parliamo, chiaramente, dell’acquedotto del Serino.
Le “grotte” greche divennero, così, cisterne, e le gallerie minuscoli cunicoli per far passare l’acqua. Il sistema era efficacissimo, dal momento che l’acquedotto passava proprio al di sotto del cuore della città antica. Tale sistema idrico fu impiegato dalla città di Napoli fino a tempi recentissimi: tra il XVI e il XX sec. fu poi abbandonato, in quanto l’acqua stagnante nelle cisterne aiutava non poco il prolificare di terribili malattie.
L’area archeologica sotto San Lorenzo
Ritornati in superficie, attraversiamo la piazza e avviciniamoci alla Chiesa di San Lorenzo Maggiore. Al di sotto della costruzione moderna, infatti, si apre un’altra parte della città antica, cioè il foro destinato alle attività commerciali. Grazie agli archeologi, è stato possibile rivenire l’intera area antica, la più estesa tra tutti gli scavi: si possono ammirare, infatti, le tabernae (cioè i negozi), il criptoportico (cioè il mercato coperto) e una tholos (cioè un edificio circolare).
Il macellum, mercato di Neapolis
Il foro di Napoli era sviluppato su un’antica strada greca, che fornì una struttura di base alle successive costruzioni romane. Attorno al I sec. d.C. il macellum, il mercato romano di Napoli, assunse l’aspetto che ancora oggi vediamo sotto terra: esso era articolato in una struttura rettangolare, dotata di portici sui quattro lati e di un cortile aperto al centro. Sono state rinvenute, lungo l’antica strada greca, nove tabernae, centro d’artigianato e di vendita, con forni e vasche per la tintura dei tessuti.
Svoltando a destra, si entra nel criptoportico (cioè il mercato coperto, con copertura a botte), dove si aprono altri “negozi”, dotati di “vetrine” in cui esporre le merci.
Solo tre edifici, tra questi, farebbero eccezione: essi costituirebbero l’antico erarium, il tesoro “statale” della città. Al centro del cortile aperto, infine, si ergeva una tholos, un edificio circolare che poteva essere adattato a tempio o a bottega; è, infatti, quasi certo che lì avvenisse la vendita degli alimenti.
Il ventre della città: il sottosuolo di Napoli
Da questo complesso viaggio nei sotterranei di Napoli è dunque chiaro quanto detto all’inizio. Non esiste una sola città, ma ne esistono a decine: quella greca, romana, medievale, rinascimentale e così via. Per comprendere appieno i mille volti di Napoli è necessario così abbandonare il visibile e immergersi, quasi in un rito, nel ventre antico della città, alla ricerca di un altro volto, un’altra storia, una più autentica interpretazione del suo passato.
Alessia Amante
Sitografia: