Nella mitologia norrena, la parola “Ragnarok” (nell’islandese moderno “Ragnarök” o anche “Ragnarøkkr”) indica la battaglia finale tra le potenze della luce e dell’ordine e quelle delle tenebre e del caos, in seguito alla quale il mondo verrà distrutto e in seguito rigenerato. Tale parola è quindi traducibile con “fato degli dèi”. “Ragnarøkkr”, invece, con “crepuscolo degli dèi”. Sebbene essa potrebbe essere quindi tranquillamente associata all’Apocalisse della mitologia cristiana, in Thor Ragnarok, ultima pellicola targata Marvel Studios, c’è però ben poco di realmente “apocalittico”, ma quel poco che c’è, c’è ed è molto ben dosato. Ma andiamo con ordine.
Nessuno avrebbe mai potuto immaginare, quando uscì il primo Iron Man nell’estate del 2008, che quasi dieci anni dopo si sarebbe arrivata a sviluppare e consolidare così tanto fortemente la Saga cinematografica con la “S” maiuscola che al giorno d’oggi è conosciuta praticamente da mezzo (e più) mondo.
Prima dell’acquisizione di Marvel da parte di Disney, le pellicole prodotte dalla casa delle idee dal 2000 in poi (facendo finta che il “Captain America” del 1990 diretto da Albert Pyun non sia mai esistito…) hanno avuto esiti molto altalenanti al botteghino, dall’enorme successo del primo e immortale Spider-Man di Sam Raimi del 2002, ai flop di Daredevil con Ben Affleck del 2003 e di Fantastic 4 di Tim Story del 2005, fino ad arrivare agli abominevoli Ghost Rider e Ghost Rider Spirito di Vendetta, entrambi con un Nicolas Cage mai così fuori forma diretti da Mark Steven Johnson (stesso regista di Daredevil).
Purtroppo o per fortuna, però, quegli anni oggi sono solo un lontano ricordo, con Disney che, dopo l’acquisizione di Marvel per la “modica” cifra di 4 miliardi di dollari nel 2009, decide di mettere in pratica una strategia di marketing e di produzione mostruosa che ad oggi vede diciassette (altro che sfortuna…) film prodotti da Marvel Studios, consociata di Marvel Comics creata dal produttore israeloamericano Avi Arad nel 1993, tutti facenti parte di un unico, enorme e mastodontico puzzle narrativo. Esso vede insieme riuniti finalmente dopo tanti anni personaggi come Iron Man, Thor, Capitan America, Hulk e adesso si, anche Spider-Man, e che culminerà nel 2018 con Avengers Infinity War, già adesso in pre-produzione.
Dati alla mano, si può dire che Kevin Feige e soci possano dormire sonni più che tranquilli, visti i risultati delle loro creazioni ai botteghini di tutto il mondo (più di 12 miliardi di dollari in totale). Diciamo che la casa di Topolino se la cavicchia benino nel valutare gli investimenti.
Thor Ragnarok, l’Apocalisse giocattolosa
Che dire, quindi, dell’ultima fatica partorita da mamma Marvel, diretta dal giovane (ma per nulla sprovveduto) neozelandese Taika Waititi e che racconta le nuove vicende del Dio del Tuono made in Stan Lee, Larry Lieber & Jack Kirby? Semplice: che è un buon film.
Una fotografia con toni principalmente molto caldi e accesi e una regia che riesce benissimo a valorizzare le scene d’azione (frenetiche e comprensibilissime in ogni minimo dettaglio) ma anche i paesaggi asgradiani con campi lunghi che sembrano quadri e carrellate delicate, rendono Thor Ragnarok un ottimo giocattolone d’intrattenimento, perfetto per passare due ore e dieci in allegria e spensieratezza. La sempreverde Immigrant Song dei Led Zeppelin, poi, fa il resto.
Il consiglio è inoltre, come ogni Marvel Fag sfegatato ormai ben sa, di rimanere in sala dopo i titoli di coda per non perdersi le scene esplicative aggiuntive (la prima scena post credits imperdibile, la seconda forse un po’ meno).
L’unica pecca della pellicola Marvel potrebbe essere forse solo il personaggio di Hela, la dea della morte, un villain poco carismatico e non molto approfondito psicologicamente, nonostante la grande interpretazione della divina (è davvero il caso di dirlo) Cate Blanchett.
Insomma, un film, Thor Ragnarok, che è nella media degli standard Marvel e della old Disney School, che non verrà certo ricordato come La corazzata Potëmkin o come i Batman di Tim Burton, ma che fa il suo buon dovere di intrattenere e divertire.
Antonio Destino