Montecalvo Irpino è un piccolo paese di 3900 abitanti, al confine tra le provincie di Avellino, Benevento e Foggia, vicinissimo al comune di Ariano Irpino.
Secondo alcuni, il toponimo deriverebbe da “Mons Galbus” ovvero “Monte Giallo” per il colore delle ginestre che ricoprono il luogo; altri lo rimanderebbero a “calvus” ovvero “monte disboscato”; la terza ipotesi, più attendibile delle altre, fa risalire il nome alla nobiltà romana Claudia che anticamente dominava il poggio.
È questo un borgo ricco di tradizioni, dove storia, leggenda e magia si intrecciano e attirano sempre di più turisti alla ricerca di angoli autentici e ancora incontaminati.
Montecalvo ha origini antichissime legate al periodo romano di cui sono testimonianza i resti del Ponte Miscano. Ricco di abitazioni rupestri in tufo, fu anche luogo di rifugio durante la peste del 1656 e attualmente presenta grotte sotterranee di collegamento molto suggestive da visitare.
È qui che si trova il Museo di Religiosità più antico di tutta la Campania e, dove, stando alle ricerche, sarebbe nato San Pompilio a cui è dedicata la nota Chiesa di Nostra Signora dell’Abbondanza.
Denominato anche il “paese del pane” per l’ampia produzione di pane “saraolla” e non solo, Montecalvo ospita uno dei castelli più importanti dell’Irpinia, il Palazzo Ducale Pignatelli, le Mura Medievali e le bellezze naturali delle cosiddette Bolle di Malvizza – piccoli crateri che emanano esalazioni velenose.
Montecalvo: curiosità popolari e cenni storici
Questo piccolo centro, parte integrante delle Terre del Lupo, è un posto pieno di leggende e racconti popolari inerenti proprio i “lupenari”, i licantropi che si crede compaiano nella notte di Natale e durante i pleniluni, cui si può sfuggire solo salendo su un albero alto o su una rampa di tre scalini.
Il folklore locale sostiene che per sconfiggere il lupo mannaro, si debba pungerlo con un bastone al cui vertice si trovi un chiodo appuntito per fare in modo che questi perda tre gocce di sangue e riacquisti la forma umana.
Un’altra curiosità è quella legata al simulacro presente nella Chiesa Madre, dove si dice che in determinati momenti l’immagine di un teschio compaia nell’occhio destro della statua sacra del Santo che in vita sarebbe stato in grado di comunicare con le anime dei defunti.
Aldilà di questi racconti esoterici, Montecalvo, come su accennato, è il paese delle “ruote” di pane realizzato con grano Saragolla rinomato e conosciuto anche oltre i confini regionali, caratterizzato dalla presenza di una croce sulla crosta, a cui si aggiunge in campo eno-gastronomico la salsiccia lunga montecalvese, il caciocavallo silano, l’aglio dell’Ufita, l’olio, i pomodorini di collina, le ciliegie, l’uva da tavola e i “cecatielli” (una pasta particolare propria dell’ Irpina che assume diversa denominazione a seconda della zona).
Tipici della tradizione montecalvese sono, inoltre, la tarantella, la serenata alla sposa, “li cant e li suoni” e il costume tipico della “pacchiana” accuratamente descritto nel libro “La pacchiana di Montecalvo Irpino. Tradizioni, oro, cunti e canti” di Antonio Stiscia.
In questo testo è dettagliatamente tracciato il profilo di questo costume che prevedeva: dei mutandoni ampi lunghi fino al ginocchio, arricchiti di merletti (puntine) che si intravedevano nei momenti del ballo; calzettoni di lana nera fermati da reggicalze in molla; la camicia e il cosiddetto “sottanino” il cui tessuto era un elemento distintivo che metteva in risalto il ceto sociale di appartenenza; scarpe in pelle o cuoio realizzate dai maestri artigiani calzolai; gonna di lana nera con applicazioni in cotone chiaro; il corpetto; la “càmmesola” ovvero una camicia color senape ricamata.
Sul capo: un enorme fazzolettone in lino grezzo che all’occorrenza poteva essere impiegata come tovaglia da cucina per imbandire la tavola; per le grandi occasioni, vi era la “pannuccia”: un copricapo di lino leggero merlettato e diverso dal “maccaturo” che, invece, ricade lateralmente sulle guance ed era nero in caso di lutto.
L’importanza di questa piccola realtà pregna di cultura è avvalorata dalla presenza della Via Francigena: la famosa strada dei pellegrini che si recavano a Roma; ed è grazie al passaggio dei Cavalieri di Malta che fu istituita la millenaria fiera di Santa Caterina ancora oggi qui in auge.
Montecalvo: il Castello Pignatelli
Nella parte più alta di Montecalvo si trova l’imponente castello ducale Pignatelli che risale al XII secolo, massima attrazione del borgo, e che deriva il suo nome dall’omonima famiglia feudataria.
La fortezza sarebbe nata sui resti di un’antica roccaforte romana, nei cui pressi si dice che nel 1137 si accampò Ruggero II durante il viaggio verso Paduli.
Il primo documento storico risale al 1096 e riguarda la convocazione dei soldati per la crociata di Guglielmo il Buono. La città divenne poi un feudo che passò prima nelle mani dei Potofranco, poi in quelle dei De Guevara, per divenire, nel 1415, possesso degli Sforza.
Con il terremoto del 1456, il castello andò in rovina per essere ricostruito dai Pignatelli nel 1494.
Nel 1501 divenne contea dei Carafa, fino a che Giovan Battista Carafa vendette il feudo nel 1594 a Lucera Carlo Gagliardi. Suoi successori furono i Pignatelli, che governarono Montecalvo Irpino fino all’abolizione del sistema feudale.
Ad esso si accede attraverso un portale in pietra su cui è visibile lo stemma della famiglia Gagliardi, da qui si passa attraverso un secondo portale per fare ingresso nelle stanze del piano terra.
Esternamente si possono ammirare le Mura Medievali che circondano tutta la corte del maniero e sono parte integrante sia del palazzo rinascimentale adiacente che dello stesso castello.
Pasqualina Giusto
Bibliografia:
- STISCIA A., La pacchiana di Montecalvo Irpino. Tradizioni, oro, cunti e canti”, Irpinia Libri Editore.
Sitografia: