Di Quinto di Smirne non si sa quasi nulla. È verosimile che appartenga alla prima metà del III sec. d.C.
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L’epoca di Quinto di Smirne
A conferma di ciò abbiamo una serie di indizi:
1) nella sua opera non c’è mai accenno al millenario di Roma celebratosi nel 248;
2) imita Oppiano, poeta di fine II sec. e viene a sua volta imitato da poeti di IV e V sec. come Trifiodoro e Nonno di Panopoli;
3) l’autore di una parafrasi in versi di testi cristiani di IV sec. si proclama “figlio del poeta Quinto”;
4) l’assenza di ogni riferimento a Bisanzio/Costantinopoli come città all’altezza di Roma indica una probabile anteriorità rispetto all’epoca di Costantino il Grande.
Il problema del nome
In un passo del XII libro del suo poema, il poeta si definisce nativo di Smirne. Il passo in questione è relativo alla sua iniziazione poetica ed imita Esiodo e Callimaco. Per questa ragione l’indicazione potrebbe non essere di natura biografica, ma riferirsi alla volontà di Quinto di richiamarsi a Omero. La tradizione infatti voleva che Smirne fosse una delle sette possibili patrie del poeta dell’Iliade e dell’Odissea.
Il nome Quinto è comunque un nome romano, anche se questo non smentisce l’origine greca dell’autore, visto che in età tardoantica greci con nomi romani non sono affatto rari.
Le Postomeriche
L’opera per cui Quinto di Smirne è conosciuto sono le Postomeriche [in greco Tà meth’Homérou]. Il poema si compone di quattordici libri in esametri. La vicenda prende le mosse dalla conclusione dell’Iliade, di qui il nome dell’opera. L’organizzazione degli argomenti risponde ad un criterio strutturale ben preciso. I libri sono divisi secondo lo schema 5 + 4 + 5.
I primi cinque libri sono una vera e propria Achilleide, che va dall’uccisione di Pentesilea alla contesa per il possesso delle armi.
I libri VI-IX sono occupati da un’azione epica ‘corale’ comprendente cinque battaglie fra Greci e Troiani, i quali ne vincono due per parte, e una ha esito di parità.
Gli ultimi cinque libri riprendono il carattere monografico e narrano gli episodi dalla morte di Paride al ritorno in patria degli Achei vincitori.
Il racconto della presa di Troia
Negli ultimi libri delle Postomeriche, in particolar modo nei libri XII-XIII, abbiamo il racconto dello stratagemma del ‘cavallo’ di Troia e della presa della città. Ebbene numerosi elementi rivelano delle concordanze – sia di contenuto sia di forme – con l’Eneide virgiliana. Il II libro dell’Eneide vedeva infatti proprio il racconto di questi stessi argomenti.
Il complesso problema delle influenze tra i due poemi, e dell’influsso della cultura latina su quella greca in quest’epoca, è ancora dibattuto. Inoltre non è da escludere che entrambi i poemi, Eneide e Postomeriche, potrebbero avere una fonte comune che non è giunta sino a noi.
Stile del poema e ideologia
Lo stile di Quinto di Smirne è quello tipico di un poeta filologo. In gran parte la sua opera nasce dallo scopo, tipicamente ‘scolastico’, di rimpiazzare i vecchi poemi del ciclo epico, ormai perduti. Il naufragio di quei poemi ciclici era stato determinato dalle condanne critico-letterarie di Aristotele e degli studiosi alessandrini.
Nel ricostruire questo insieme di perduti sequel di Omero, Quinto non riprende che in parte la lingua omerica. Da Omero si differenzia per alcuni appariscenti connotati stilistici. In primo luogo, di Omero vengono riutilizzati gli epiteti esornativi, ma viene abbandonata completamente la dizione formulare arcaica. Questo fenomeno si nota sin dall’incipit, che manca totalmente di invocazione alla Musa. In Quinto di Smirne si ritrovano espressioni tipiche dell’Iliade e dell’Odissea, ma vengono eclissate sia le scene tipiche sia i versi ripetuti. In questo Quinto segue l’esempio di Apollonio Rodio.
Sul piano della versificazione, il poema mostra un trattamento dell’esametro molto più rigido di quello omerico, con una grande limitazione di schemi (solo 8 o 9 schemi ritmici rispetto ai 32 possibili in Omero).
Il pathos e l’orrido
Scene patetiche o orrorifiche non mancavano certo nel modello di Quinto, Omero. Tuttavia Quinto stesso, anche per l’influsso della poesia latina, tende ad accentuare fortemente i tratti macabri e patetici. È questo un connotato tipico di una parte consistente della poesia tardoantica, anche per la situazione storica di crescente instabilità e violenza che condiziona l’immaginario poetico.
Sotto questo aspetto il poema di Quinto sembra riflettere nella sua natura ibrida, la appartenenza dell’autore all’Oriente dell’impero greco-latino, ampiamente romanizzato ma nello stesso tempo portatore di una propria tradizione millenaria.
Arianna Colurcio