Dopo il soggiorno nell’isola di Malta, Michelangelo Merisi da Caravaggio approdò in Sicilia, a Siracusa, dove dipinse il Seppellimento di Santa Lucia.
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La Santa Lucia siracusana di Michelangelo Merisi da Caravaggio
Dopo il famoso e travagliato soggiorno nell’isola di Malta, il pittore Michelangelo Merisi da Caravaggio approdò in Sicilia, a Siracusa. La scelta di fermarsi sull’isola, molto probabilmente non fu programmata, ma resa necessaria per riorganizzare il suo ritorno a Roma, in attesa della grazia, via Napoli.
In Sicilia arrivò, forse, nel mese di ottobre perché sappiamo che in un verbale del Concilio dell’Ordine di Malta, riunitosi il 6 ottobre 1608, si chiedeva a due cavalieri di seguire le tracce del pittore fuggito dalla prigione del forte Sant’Angelo.
Caravaggio a Siracusa
A Siracusa, aveva una vecchia conoscenza, l’amico dei suoi primi anni romani, il pittore Mario Minniti. Qui, il senato della città (come scrisse Francesco Susinno), supplicato proprio da Minniti, gli affidò la commissione di una pala d’altare con Santa Lucia, il Seppellimento di Santa Lucia, destinato all’altare maggiore della chiesa extra moenia di Santa Lucia al Sepolcro, luogo di sepoltura della santa e detta anche di Santa Lucia alla Marina, situata fuori dalla cittadella medievale di Ortigia e attigua ad un monastero di antica fondazione cistercense, entrambi retti dai Cappellani Reginiali.
Adesso il Seppellimento di Santa Lucia, dopo alcuni interventi restauro e dopo essere stato esposto al Museo di Palazzo Bellomo, e nella Chiesa di Santa Lucia alla Badia, in Piazza Duomo, si trova nuovamente nella sua collocazione originale. Quella di Santa Lucia fu un’altra importante commissione pubblica, dopo quelle di Roma e Napoli e dimostra che il pittore non soggiornò mai in Sicilia da fuggiasco ma fu sempre accolto e protetto. Anche questa volta, il Merisi dimostrò di conoscere appieno l’iconografia cristiana, creando un dramma poco consueto. Forse la consegna della tela era prevista per il 13 dicembre dello stesso anno, giorno della festività della santa.
Il seppellimento di Santa Lucia
Santa Lucia, vergine e martire, morta durante le persecuzioni di Diocleziano, con la colpa di essere cristiana, è rappresentata senza vita, accasciata sulla nuda terra, con un taglio in gola. Attorno a lei frustrazione e pianto, una donna inginocchiata con le mani al volto, il giovane vescovo pronto a dare l’estrema unzione, la folla che guarda incredula, in una scena resa ancora più drammatica dalla luce che si staglia sulle figure esaltandone il dolore ed i lineamenti contratti. Due becchini, enormi e con le espressioni assenti, ai lati della tela stanno già scavando la fossa, con gesti rozzi e privi di qualsiasi grazia.
Caravaggio non dipinge una scena di martirio, non c’è esaltazione, con c’è gloria, non troviamo l’intervento salvifico del divino ma nella tela è in atto un semplice seppellimento di una donna, appena morta tragicamente. I veri protagonisti sono i due becchini, le cui figure emergono nelle scure e suggestive latomie siracusane, oggetto di curiosità e studio del pittore. Con le tele siciliane inizia l’estremo periodo di Caravaggio caratterizzato da essenzialità e pathos, le scene sono sempre più scarne, scure, opprimenti, in un climax ascendente di tragedia che si configura con il grande vuoto nella parte superiore che è brama di salvezza ma che porta all’inesorabile fine.
“Non havendone mai veduti, non so ritrarli”
Padre Ippolito Falcone, nato a Siracusa nel 1623 e autore di numerose opere, nel Narciso al fonte cioè l’uomo che si specchia nella propria miseria, stampato presso Gabriel Hertz a Venezia nel 1675, tramanda un’importante, quanto singolare, testimonianza: «Richiesto Michelangiolo da Caravaggio, che facesse un gruppo d’angioli nel largo campo, che resta in alto, in quel famoso quadro, in cui si piangono, e s’ammirano i funerali di S. Lucia in Siracusa, egli non volle dipingerli, dicendo: Non havendone mai veduti, non so ritrarli».
Falcone, sicuramente, fu influenzato dalle notizie che circolavano oralmente a Siracusa sulla personalità di Caravaggio, dal momento che nessun altro documento citò questo particolare episodio. La notizia, sebbene appaia romanzata, anche perché le tele siciliane si caratterizzano per essenzialità e grandi spazi vuoti è molto interessante perché si configura come l’ennesima dichiarazione di poetica naturalistica a cui il pittore ha aderito nonché come una delle tante testimonianze circa il comportamento poco giusto del pittore.
Caravaggio non vuole rappresentare il divino, ma la verità. Nonostante la richiesta di dipingere un gruppo di angeli nella parte superiore del dipinto, rifiuta dicendo che non avendoli mai visti, non li sa ritrarre.
Valentina Certo