È da poco passato il quinto centenario dalla stesura da parte di Lutero delle Tesi per chiarire l’efficacia delle indulgenze, altrimenti note come Novantacinque tesi, cioè dalla nascita della Riforma Protestante.
Fino al 1517 Lutero era stato un uomo ordinario, con un percorso spirituale complicato che lo aveva portato a rinunciare agli studi di giurisprudenza per diventare monaco agostiniano e poi sacerdote. Quando ottenne una cattedra a Wittenberg, non avrebbe mai pensato di diventare un riformatore.
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La questione delle indulgenze
Tutto risale alla cosiddetta “questione delle indulgenze”. In effetti l’indulgenza era un documento con cui il papa rimetteva le pene temporali per i peccati a chi, pentito e già assolto dal sacramento della confessione, compiva un’opera buona, cioè l’elemosina o un’offerta alla chiesa. A lungo andare questa pratica divenne sempre più una compravendita, si credeva in un automatismo tra il pagamento dell’indulgenza e il Paradiso. E Lutero non poteva accettarlo.
Il suo cammino di fede e i suoi studi lo avevano portato a pensare alla Grazia come un atto gratuito di Dio e come tale l’uomo non poteva “meritarselo”, non aveva senso agire, ma piuttosto bisognava “farsi agire”, cioè lasciare che Dio operasse tramite noi. Le opere erano un ringraziamento spontaneo che seguiva la salvezza ricevuta da Dio.
Le Tesi e le loro conseguenze
Seguendo questi principi Lutero scrisse un elenco di tesi destinate ad un pubblico ridotto all’ambito accademico, difatti furono scritte in latino. Inizialmente il lavoro di Lutero non suscitò scalpore, anzi, venne accolto quasi con indifferenza. Il vero punto di svolta ci fu l’anno seguente, nel 1518: le tesi vennero tradotte in tedesco e date alle stampe, il successo fu enorme.
Era il segno di una voglia di rinnovamento oramai sentita come un’esigenza dalla popolazione tedesca. È notevole la facilità con cui si diffusero le Tesi, considerando che contenevano una parte dottrinale e teologica che non tutti erano in grado di comprendere, ma sicuramente l’aspetto che ebbe più risonanza fu quello antipapale. Anche se Lutero cercò comunque di essere cauto, non attaccando l’autorità papale in modo diretto, non fu sufficiente: nell’estate del 1518 si aprì un processo contro di lui.
Fortunatamente per Lutero, egli godeva della protezione del duca ed elettore di Sassonia, Federico detto il Savio, che fece pressioni affinché venisse concessa a Lutero un’udienza privata alla Dieta di Augusta.
Qui il riformatore dovette confrontarsi con il legato pontificio Tommaso De Vio, detto Caetano. I due si ritrovarono ad affrontare un altro punto di rottura tra Lutero e la Chiesa di Roma: le Sacre Scritture. Il monaco sassone riteneva, al contrario della dottrina ecclesiastica la quale credeva nell’infallibilità pontificia, che queste potessero essere interpretate da chiunque e che lo stesso papa potesse sbagliare nel farlo. L’udienza si risolse con un nulla di fatto.
Nel 1519 vi fu un’altra disputa, a Lipsia, dove sostanzialmente si ripeté la situazione dell’anno precedente, con Lutero che veniva spinto dagli avversari a prendere posizioni sempre più radicali, fino a venir accusato di essere vicino alle posizioni estremiste di Hus, un eretico di circa un secolo prima.
L’atto decisivo di Lutero
Nel 1520 venne concluso il processo iniziato nel 1518, con la redazione delle bolla Exurge Domine venne imposto a Lutero di ritrattare, pena la scomunica. Non ritrattò.
Prima che la bolla gli giungesse, però, aveva iniziato già la produzione di tre scritti che saranno poi fondamentali per la teologia e l’organizzazione delle chiesa luterana: Alla nobiltà cristiana della nazione tedesca, La cattività babilonese della chiesa e La libertà del cristiano, in cui scardinava alcuni dei fondamenti della tradizione cattolica, proponendovi alternative da lui elaborate come l’abolizione del sacerdozio in quanto “ordine” separato dai laici, la riduzione dei sacramenti da sette a due (eucaristia e battesimo), messa in volgare e la differenza tra fede e opere.
Lutero reagì alla bolla con lo scritto Contro l’esecrabile bolla dell’Anticristo e con il rogo della stessa.
Nel 1521 venne convocato per un’altra dieta a Worms dove gli fu chiesto un’ultima volta di ritrattare, ottenendo in risposta il suo “no” definitivo, venendo condannato anche dall’Impero. Questo fu l’atto finale di un percorso iniziato cinque anni prima ma che portava una voce più profonda di quella del solo Lutero.
L’avvio della Riforma
Giunti a questo punto possiamo considerare la struttura teologica e dottrinale luterana come matura e solida, tanto da resistere ed opporsi a quella della Chiesa romana, ma la rivoluzione “pratica”, effettiva nel quotidiano era in tutt’altra situazione. In effetti la prima attuazione della Riforma avvenne senza Lutero. Al ritorno dalla Dieta, egli fu vittima di un falso rapimento organizzato da Federico il Savio, che aveva come scopo quello di metterlo in salvo da eventuali nemici, nella fortezza della Wartburg sotto il falso nome di cavaliere Giorgio, dove rimase fino al 1522.
Nel frattempo un fedelissimo di Lutero, Carlostadio, si occupò della gestione della Riforma, che ebbe molto impatto sui fedeli, basti pensare allo shock provocato dal matrimonio dei sacerdoti o l’apertura dei conventi. Al ritorno dalla Wartburg, Lutero prese in mano la situazione, vietando a Carlostadio di predicare.
Da lì in poi dovette affrontare ancora insidie e problemi riguardanti l’organizzazione della struttura della chiesa luterana, il rapporto con le autorità civili, la guerra dei contadini, gli attacchi da parte cattolica, che di certo non si erano placati, e dovette confrontarsi con le altre chiese riformate. Fu arbitro e punto di riferimento sino alla sua morte, che avvenne nel 1546.
Miriam Campopiano
Bibliografia
Gian Luca Potestà, Giovanni Vian, Storia del cristianesimo, Il Mulino, 2014
G.Dall’Olio, Martin Lutero, Carocci, Roma, 2013