Se il compito del giurista è spiegare le caratteristiche formali di una costituzione, uno scienziato sociale dovrà, invece, rispondere a domande diverse, ma ugualmente importanti. Che cos’è, per la collettività, una costituzione? Perché è così importante che esista una legge superiore a tutte le altre?
Dal punto di vista della storia del diritto, infatti, i documenti che chiamiamo “Costituzioni” nascono solo in epoca contemporanea. L’idea di stabilire delle regole fondamentali per disciplinare la vita associata ha, però, origini molto più antiche.
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Regole superiori
L’Antigone è un’opera centrale di Sofocle. Gustavo Zagrebelsky, ex presidente della Corte Costituzionale, la definisce:“il testo fondativo della nostra civiltà giuridica”. Nella tragedia, la protagonista, violando un decreto del sovrano, seppellisce la salma di suo fratello. Questo atto era stato proibito da un decreto del re, perché Polinice, questo il suo nome, aveva preso le armi contro la propria città.
Antigone, tuttavia, gli rende ugualmente l’estremo omaggio perché, sostiene, così ordinano gli dei. Quando re Creonte le chiede perché non abbia osservato il suo editto, risponde con queste parole:
essi non hanno sancito per gli uomini queste norme; né avrei attribuito ai tuoi proclami tanta forza che un mortale potesse violare le leggi incrollabili, non scritte, degli dei.
Già nel 442 a.C., quindi, veniva adottava una distinzione tra le varie regole giuridiche. Si riconosceva, infatti, l’esistenza di norme particolari, così importanti da non poter essere violate nemmeno da altre leggi. Tali prescrizioni esistono anche oggi e sono per l’appunto quelle che disciplinano gli aspetti essenziali della vita collettiva. In Grecia, ad esempio, diverse antiche città seguivano gli ordinamenti prescritti da più o meno mitici legislatori, come Licurgo e Solone. A Roma si prese ispirazione anche da questi ultimi per comporre le leggi delle XII Tavole.
Sulla stessa scia, le antiche lingue classiche conoscevano termini differenti per indicare i due tipi di norme. I Greci, ad esempio, distinguevano gli pséfismata, i decreti di un’assemblea, dai nòmoi, ovvero le leggi (in greco antico, maschili) generali. I Latini, invece, sono quelli che ci hanno tramandato la parola constitutio. Il termine indicava genericamente qualcosa di stabilito e poteva essere tanto l’ordinamento dello Stato quanto un comune provvedimento legislativo. Quest’ultimo, però, aveva una particolare forza normativa, rispetto a tutti gli altri, perché veniva emanato da un’autorità massima: il Senato prima, gli imperatori poi.
Dall’assolutismo alla Costituzione
La credenza nell’esistenza di regole superiori, quindi, attraversa tutta la storia occidentale. La nascita del costituzionalismo, tuttavia, avviene solo dall’Età Moderna. Eventi quali le rivoluzioni inglesi, americana e francese, infatti, determinano il crollo dell’assolutismo. Questa posizione giuridica sosteneva la coincidenza tra il potere dello Stato e quello del sovrano, e che quest’ultimo avesse un’autorità a legibus soluta, “sciolta dalle leggi”. Il concetto essenziale di una Costituzione, al contrario, è proprio che essa debba limitare e disciplinare i poteri delle istituzioni. Due sono, infatti, in genere i suoi contenuti fondamentali: la garanzia dei diritti dei consociati e la regolamentazione della separazione dei poteri.
Si tratta, dunque, di teorie che il diritto ha elaborato solo nei secoli più recenti. Addirittura, le stesse Costituzioni dell’Ottocento non assomigliano affatto a quelle degli Stati moderni. Ciò sia per il fatto che sono generalmente concesse dal sovrano, e non votate da un’assemblea, ma anche perché sono flessibili. Ciò significa che possono essere emendate da un normale atto legislativo.
Il fascismo italiano, ad esempio, nell’esercizio del suo potere, non ebbe mai bisogno di emanare alcuna norma incostituzionale. Lo Statuto Albertino, infatti, Costituzione del Regno d’Italia fino al 1948, era modificabile attraverso semplici leggi ordinarie.
In questa concezione, devono essere le decisioni della maggioranza a disciplinare la società. Le Costituzioni moderne, al contrario, rifiutano questa idea, essendo generalmente rigide. Ciò significa che le regole da esse stabilite, essendo essenziali per la vita collettiva, non possono essere modificate a piacimento da una maggioranza parlamentare momentanea. Per questo motivo, esse possono essere emendate solo attraverso procedimenti complessi, come quello previsto dal nostro articolo 138. Inoltre, appositi comitati – per noi, la Corte Costituzionale – controllano che le leggi ordinarie siano conformi alle loro disposizioni.
Il moderno dibattito sulla Costituzione
Le caratteristiche descritte, però, lungi dall’essere qualcosa di dogmatico, non smettono di suscitare dibattiti tra i giuristi e, perché no, anche la gente comune.
La rigidità della Costituzione è necessariamente qualcosa di positivo? È sempre opportuno che regole stabilite anche molti decenni prima continuino a disciplinare la vita di una comunità in un modo spesso percepito come statico? Oppure la loro salvaguardia è comunque fondamentale, per non rischiare che la tirannia della maggioranza attenti alla salute della democrazia?
Una risposta univoca, come sempre nelle scienze sociali, non esiste.
Francesco Robustelli
Bibliografia
Caretti, De Siervo, Diritto Costituzionale e Pubblico, G.Giappichelli editore, 2014.
Sofocle, Antigone, 442 a.C., trad.it. BUR classici greci e latini 2015.
Castiglioni et al., IL, 4° ed., Loescher editore 2007.
Montanari, GI 2° ed., Loescher editore 2004.
Zagrebelsky, Antigone e la legge che smarrisce, articolo presente su”la Repubblica” il 25/06/2003.
I Grandi dizionari Garzanti ITALIANO, ed. Garzanti linguistica, Nuova edizione 2008.
Fonte Media:
L’immagine di copertina è ripresa da https://www.pressenza.com/it/2017/12/70-anni-la-costituzione/.