In che modo si realizzerà la fine del capitalismo? Scopriamolo analizzando il pensiero di due autori. L’uno, Karl Marx, è il celebre filosofo e rivoluzionario la cui fama si deve proprio alle sue teorie contro tale sistema economico. La sua opera principale, Il Capitale, è una colossale descrizione del suo funzionamento e delle tendenze che lo distruggeranno. Tali processi sono, per lui, insiti nel capitalismo stesso. Marx, infatti, riprende molto la dialettica della storia del suo maestro Hegel quando indica i fattori che lo faranno crollare. Si tratta di una serie di contraddizioni, su cui tale sistema poggia, che potranno risolversi solo con il suo superamento. Questo termine, in tedesco aufhebung, è proprio quello usato da Hegel per indicare cosa succede quando un’antitesi nega una tesi, creando una sintesi di entrambe.
Immanuel Wallerstein, invece, sociologo contemporaneo, fonda la fine del capitalismo su una serie di dinamiche strutturali di lungo periodo. Esse, sebbene chiaramente simili alle tendenze di Marx sono, tuttavia, più ispirate al pensiero dello storico Fernand Braudel.
La fine del capitalismo per Marx: il crollo del profitto
Secondo Marx, la fine del capitalismo sarà provocata dalla caduta tendenziale del saggio di profitto. Quest’ultimo è il rapporto tra il plusvalore che il capitalista sottrae ai suoi operai e i costi di produzione che deve sostenere. I secondi si sdoppiano, a loro volta, in capitale variabile e costante. Il capitale variabile costituisce il salario dei lavoratori. Quello costante, invece, è il costo degli altri fattori di produzione, in particolare i macchinari.
Il capitalista, dunque, nella sua brama di produrre di più e arricchirsi, potrà o diminuire i salari o aumentare il capitale costante. Tra le due cose c’è, però, una differenza sostanziale. Se, infatti, il primo processo deve necessariamente avere una fine (al di sotto di un salario minimo di sussistenza non si può scendere) il secondo no. Nessuno vieta al capitalista di spendere sempre di più per acquistare nuovi macchinari.
Così facendo, tuttavia, egli non si rende conto di danneggiarsi. Abbiamo detto, infatti, che il profitto è il rapporto tra plusvalore e costi. Ora se questi ultimi, ovvero il denominatore, crescono vertiginosamente, allora il valore della frazione diminuisce. Il capitalista, dunque, ed è questa la conclusione di Marx, cercando di arricchirsi riduce sempre di più il suo profitto.
Ecco perché, secondo il filosofo, il capitalismo poggia su una contraddizione. Essa non può essere risolta: i capitalisti non cesseranno mai di cercare il profitto, essendo tale comportamento la loro caratteristica naturale. Proprio questa dinamica li porterà progressivamente alla rovina. Gli unici esiti che Marx prevede sono il tracollo economico e la sconfitta finale ad opera del proletariato. Infatti l’estrazione rapace del profitto provoca, nel lungo periodo, l’ostilità dei lavoratori contro il capitalista.
La fine del capitalismo secondo Wallerstein: il crollo imminente
La disamina di Wallerstein è simile a quella di Marx: anche per lui, infatti, la fine dei capitalisti sarà determinata dal crollo dei loro profitti. La sua analisi, tuttavia, è molto più approfondita, in quanto più moderna. Egli evidenzia, infatti, che la prima strategia che i capitalisti adottano è sempre l’aumento dei prezzi. Questa dinamica non può dilatarsi nel tempo, perché finisce per allontanare la clientela.
L’unica alternativa, allora, è ridurre i costi di produzione. Wallerstein vi include tre voci: la retribuzione del personale, l’acquisto di materie prime e le tasse da pagare. Ciascuna di esse, negli ultimi 50 anni, è costantemente cresciuta. I salari, infatti, aumentano grazie al lavoro svolto dall’attività sindacale svolta a livello mondiale. A nulla vale, per contrastare ciò, il fenomeno delle runaway factories, cioè della delocalizzazione della produzione in Paesi più arretrati. Anche qui, infatti, prima o poi i lavoratori avanzeranno le stesse richieste di coloro dai quali il capitalista era fuggito.
Quanto alle materie prime, esse comportano costi sia per il loro rinnovamento sia per l’inquinamento che causano. Quest’ultimo è, infine, uno dei tanti motivi che comporta l’incremento delle tasse da pagare.
Il profitto dei capitalisti, dunque, è sempre più minacciato a livello mondiale. Come per Marx, ciò dipende da dinamiche insite nel sistema economico stesso. Anche qui, l’unica soluzione possibile è già segnata: la fine del capitalismo. Secondo Wallerstein, essa arriverà entro pochi decenni. Anzi pare proprio che il capitalismo, stia a detta del sociologo, nel vivo della sua crisi definitiva, già a partire dai movimenti di contestazione del 1968.
Francesco Robustelli
FONTI
-Abbagnano e Fornero, La ricerca del pensiero 3a, editore Paravia
-Wallerstein, Comprendere il mondo, editore Asterios, ed.it.2006
L’immagine di copertina è ripresa da www.ultimavoce.it