Quando si parla di Heinrich von Kleist, si è abituati ad avere a che fare con tragedie e drammi dai terribili finali (si pensi, ad esempio, alla triste conclusione di Penthesilea). Fortunatamente ci sono dei casi in cui, invece di piangere, leggendo delle terribili sorti dei protagonisti, possiamo addirittura riderne a crepapelle. Questa possibilità ci è data dalla commedia La brocca rotta, composta tra il 1803 e il 1806: un trascinante gioco tra la verità che deve rimanere assolutamente celata e la volontà, altrettanto assoluta, di scoprirla ad ogni costo.
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La ripresa del mito di Edipo
La commedia La brocca rotta è costruita sul mito di Edipo: come il re che cerca chi ha provocato l’ira degli dèi abbattutasi sulla sua Tebe per poterlo punire, e alla fine scopre che il colpevole è lui stesso, anche il giudice Adamo (l’allusione al capostipite di tutti gli uomini non è per niente casuale) deve istruire il processo per individuare il furfante che ha rotto la bella brocca del titolo. Naturalmente il colpevole è il giudice stesso, che ora cerca di ostacolare con tutti i mezzi la ricerca della verità. Nonostante le manovre diversive, il vecchio Adamo s’impiglia inesorabilmente nella propria rete e, quando i fatti a poco a poco si chiariscono, il giudice deve darsi alla fuga davanti all’ira degli abitanti del villaggio.
Adamo, il vero colpevole
Questo testo è un capolavoro di vis comica, una delle migliori commedie tedesche. In un unico atto lunghissimo assistiamo ad un processo in cui il giudice di un piccolo villaggio olandese, libertino, prepotente, scaltro e sciocco allo stesso tempo, deve fare i più incredibili sforzi perché non venga a galla la verità. Proprio lui infatti è l’ignoto visitatore notturno introdottosi nella casa di una brava contadina e il colpevole della rottura di una preziosa brocca, nonché di altri ben più gravi crimini. La commedia, tolte le eccessive lungaggini delle ultime scene, è ricca di sorprese ed è piena di vita.
Linguaggi diversi per personaggi differenti
Il linguaggio popolaresco, volutamente caricato, è di un realismo genuino e autentico. La descrizione che una contadina incolta fa della brocca rotta è di per sé un piccolo capolavoro di umorismo. Ben diverso è il linguaggio del giudice che mente sempre ed è capace soltanto di raccontare bugie. È un linguaggio che meriterebbe di essere studiato nei suoi particolari minimi: è tutto falso, persino i gesti. Per Kleist il giudice Adamo diventa una vera e propria incarnazione del Male.
Come nasce La brocca rotta?
La commedia La brocca rotta fu scritta per una specie di scommessa con amici svizzeri: a Zschokke toccò redigere una novella, al giovane Wieland una satira e infine a Kleist una commedia. Lavorando al progetto in un periodo di pausa distensiva, un po’per svagarsi, un po’ per dare prova del proprio talento comico, Kleist riuscì a trarne un’opera eccezionale, che Lukács ed altri considerano la sua opera artisticamente più compiuta. Kleist sfrutta abilmente la propria più istintiva virtù drammatica, la tecnica del ritardo. Purtroppo ne abusa nella seconda parte oltre ogni limite di convenienza ed anche di verosimiglianza.
Giudice vs ispettore
Il giudice attira subito su di sé il sospetto perché non sa spiegare come si è ferito alla gamba; così lo spettatore apprende sin dalla scena settima che egli è il colpevole. L’intervento dell’ispettore è senza ombra di dubbio una buona trovata, poiché il processo fatto in sua presenza diventa quasi una prova d’esame che il giudice sostiene malissimo. Dal momento che l’ispettore capisce ben presto come stanno le cose, la commedia perde verso la fine molta della sua carica. L’interrogatorio sempre più ingarbugliato che il giudice è costretto a continuare secondo le norme del processo diventa monotono; non è sufficiente a ravvivare le ultime scene neanche il banchetto che il giudice improvvisa durante il processo nell’aula stessa del tribunale con l’intenzione di ubriacare l’ispettore, mentre alla fine sembra brillo più lui. Alla fine il giudice, come una figura demoniaca, fugge dall’aula e sparisce in mezzo ai campi.
La critica sociale di Kleist
Questi elementi caricaturali, che da una parte sembrano voler fare del giudice quasi un’incarnazione diabolica della menzogna, dall’altra corrispondono esattamente alla forte e decisa polemica sociale che vi è nella commedia. La toga è il male per Kleist. L’innocente Evchen, cui il giudice fece l’infausta visita notturna, sa che non deve dire la verità perché altrimenti il suo fidanzato sarà arruolato e mandato nelle Indie. Kleist insomma non soltanto parla il linguaggio del popolo semplice, ma vede anche la realtà sociale con gli occhi del popolo che non si fa certamente nessuna illusione sulla corruzione statale.
Pia C. Lombardi
Bibliografia
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