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Musica dell’apocalisse di Filippo Balducci – Un saggio dedicato a Skrjabin
Ultimamente mi sono trovato a riflettere sull’importanza che riveste la figura di Aleksandr Nikolaevič Skrjabin (1872-1915) per gli sviluppi della musica nel XX secolo. E l’ho fatto ripensando alla presentazione del libro Musica dell’apocalisse. La rivoluzione di Scriabin del pianista Filippo Balducci cui ho assistito il 21 maggio del 2015¹ presso la sala Chopin di palazzo Mastelloni a Napoli.
Molto interessante la ricerca condotta da Balducci che ha guidato il suo pubblico alla scoperta del mondo skrjabiniano alternando il suono alle parole.
Le domande alla base della ricerca
La serata è iniziata con la musica e il pianista ci ha fatto ascoltare due brani appartenenti a due diversi – e tra loro opposti – momenti compositivi del musicista russo: rispettivamente la mazurka op.7 no.3 (un genere musicale che per associazione immediata rimanda a Fryderyk Chopin) e la sonata no.9 op.68 Messa nera.
Dopo la sua coinvolgente interpretazione Balducci si è rivolto poi al pubblico presentando la tesi alla base del suo saggio: com’è possibile che un compositore, vissuto tra l’altro non a lungo (poco più di quarant’anni), abbia elaborato in un periodo relativamente breve di attività un modo completamente nuovo di scrivere e pensare la musica? Cosa ha provocato questa brusca rottura con il sistema tonale? Qual è stato il momento della svolta? (Quest’ultima domanda è stata suggerita tra l’altro dal pianista Dario Candela, presente in sala).
È proprio sulla scorta di questi interrogativi che la musicologia è impegnata tutt’oggi ad illuminare maggiormente questa personalità così affascinante.
I tre periodi della personalità compositiva di Skrjabin
Diversi studiosi tendono ad inviduare tre periodi nel suo iter compositivo: il primo di matrice “chopiniana” inquadrato come tardo-romantico; un periodo centrale, contraddistinto da una più marcata elaborazione di un suo stile personale; infine la terza fase, sicuramente la più ardita e criptica dal punto di vista linguistico in cui è ormai netto il progressivo distacco dal sistema tonale generalmente inteso, ai margini della serialità (alcuni hanno definito in effetti Skrjabin un autore pre-seriale).
Non si deve però erroneamente pensare, come ha fatto notare Balducci, che vi siano delle fratture nette nello stile compositivo di Skrjabin; già dal cosiddetto “primo periodo” il musicista russo, infatti, inizia a compiere interessanti esperimenti accordali, con la ricorrente tendenza a fondere tra loro melodia ed armonia (questo è ben evidenziato ad esempio dal corpus dei 24 preludi op.11, probabilmente un omaggio a Chopin della cui op.28 riprende il prospetto delle tonalità).
Queste sperimentazioni, a mio avviso, non sembrano del tutto nuove se pensiamo ad esempio anche alle composizioni di Debussy; a questo proposito, tra l’altro, Balducci ha dimostrato con diversi esempi al pianoforte che in gran parte della produzione skrjabiniana vi è una sorta di “marca d’autore” ben definita, tutta tesa al rinnovamento, che lo inserisce a buon diritto tra i padri musicali del XX secolo e lo differenzia dal collega ben più noto ai profani: Sergej Rachmaninov, legato – com’è noto – fino al termine della carriera ad una sensibilità tardo-romantica del fare musica.
Il sostrato ideologico-filosofico alla base dell’arte skrjabiniana e il Mysterium per orchestra
Anche in opere successive, debitamente prese in esame nel libro, emerge sostanzialmente la consapevolezza di una ricerca armonica e compositiva da parte di Skrjabin nella direzione del trascendente e del metafisico. A questo proposito, se guardiamo per un attimo al sostrato ideologico alla base della sua concezione musicale, è interessante notare come vi siano innumerevoli riferimenti a tematiche filosofiche, mistiche e in particolare al simbolismo inteso nel suo senso più ampio, evidenziato dai poli opposti (e spesso ricorrenti) della luce e dell’oscurità (simbolismo bianco e simbolismo nero). Da qui derivano i titoli di molte sue composizioni che si possono ascrivere a determinati momenti di speculazione filosofica, fortemente legati in particolare alla teosofia (la sonata no.7 Messa bianca, la sonata no.9 Messa nera, il poema op.36 Satanico e via dicendo).
Come Balducci ha sapientemente illustrato al pubblico, con esempi e citazioni dal diario del compositore, frammenti di poesie e indicazioni di “carattere” segnate in partitura, lo scopo ultimo di Skrjabin era, probabilmente, quello di raggiungere l’estasi collettiva. Un progetto che avrebbe avuto definitiva attuazione con l’esecuzione universale del Mysterium: un grande poema per orchestra cui aveva comiciato a pensare dal 1912. Esso si configurava nella mente del compositore come un’opera d’arte totale con caratteristiche sinestetiche: Skrjabin, infatti, desiderava che quest’opera fosse eseguita sulle cime dell’Himalaya e avrebbe voluto coinvolgere il pubblico che avesse partecipato alla rappresentazione con la percezione combinata di suoni, colori, odori, sensazioni motorie e gestuali.² Il progetto rimase, purtroppo, incompiuto per la morte dell’autore.
Il Prometeo e l’ultimo periodo della produzione di Skrjabin
Ai tempi del poema sinfonico con pianoforte op.60 Prometeo la rivoluzione avviata da Skrjabin è ormai giunta alla sua ultima fase: dai suoi appunti si intende chiaramente che il compositore è pienamente consapevole di essersi spinto in regioni inesplorate dell’universo musicale. L’elaborazione di una nuova estetica musicale (mai divulgata in forma trattatistica) contraddistinta tecnicamente dall’utilizzo di accordi particolarissimi, la cui preparazione e tensione armonica spesso e volentieri non viene piu risolta, è la cifra stilistica dell’ultimo Skrjabin che “tende la mano” ad Arnold Schönberg: alludo, in particolare, alle sonorità magiche del famoso accordo cosiddetto “mistico”, composto di quarte eccedenti, diminuite e giuste che apre il Prometeo e che potrebbe essere considerato una sorta di “firma” di Skrjabin, uno dei suoi accordi più caratteristici e affascinanti.
Conclusioni e un invito all’approfondimento
È ben identificabile dunque una ricerca frenetica, costante, contraddistinta da un protagonismo di marca “superomistica” – neanche troppo velato – che fa da sfondo a tutta la produzione musicale di Skrjabin. In ogni caso non è mia intenzione ridurre la grande personalità del compositore russo ad una sintesi schematica ed incompleta; questo articolo vuole essere piuttosto uno spunto per ulteriori riflessioni e ricerche, una sorta di “punto di partenza” che muove dalla rielaborazione dei miei ricordi della lezione-concerto tenuta da Filippo Balducci per poi svilupparsi.
D’altra parte entrano in gioco tantissime componenti quando si parla di Skrjabin e non è possibile esaurire un discorso sulla sua figura senza tenere conto delle sue frequentazioni dei circoli del decantismo russo e francese, dell’amicizia con i poeti simbolisti, dello studio delle filosofie orientali (la teosofia in particolare aveva maggiormente attecchito nell’elaborazione del suo pensiero) e di tanti altri spunti di riflessione che non è comodo né utile trattare in questa sede.
Gianluca Blasio
Note
1. Il 2015 è stato l’anno skrjabiniano per eccellenza: era infatti il centenario della morte del compositore russo.
2. Volendo estremizzare, lo si potrebbe immaginare come una sorta di moderno happening.
Bibliografia consigliata
- Aleksandr Nikolaevič Skrjabin, Appunti e riflessioni, Edizioni Studio Tesi, Pordenone 1992.
- Luigi Verdi, Aleksandr Nikolaevič Skrjabin, L’Epos, Palermo 2010.
- Filippo Balducci, Musica dell’apocalisse. La rivoluzione di Scriabin, Simplicissimus Book Farm, 2013