Esaminando le Lettere a Theo di Vincent Van Gogh, Karl Jaspers ne traccia molto più di una patografia. Nel delineare il profilo psicologico dell’artista, il filosofo e psichiatra tedesco mostra di partecipare emotivamente al dramma della sua vicenda, al mistero della sua follia. La vita e l’opera di Van Gogh testimoniano uno sforzo estremo di “chiarificazione dell’esistenza“ – tentativo che, secondo Jaspers, è compito primario della filosofia.
L’analisi dei vissuti psicotici, a partire dalle testimonianze che lo stesso artista offre nel suo epistolario, non induce Jaspers alla formulazione di una definitiva diagnosi. Nei suoi appunti è indugiante nel classificare i disturbi, di cui Van Gogh racconta, come sintomi di una specifica malattia mentale. Fedele al suo metodo biografico, lo psichiatra preferisce proporre un viaggio nel tormentato mondo interiore del pittore olandese, offrendo anzitutto il resoconto di una singolare vicenda umana.
Comprensibilità e incomprensibilità: il mistero dell’Altro
Fra i diversi approcci alla malattia mentale, Jaspers predilige la strada della comprensione della situazione del malato. La comprensione dell’altro però poggia sul principio dell’incomprensibilità. Non è possibile una completa identificazione con il paziente nella misura in cui le sue esperienze, i contenuti della sua attività mentale, restano inaccessibili. Il principio dell’incomprensibilità non pone un limite alla comprensione dell’altro, anzi lo sottrae ad ogni possibile oggettivazione. L’Altro per Jaspers è l’indeterminabile, un mistero tanto più profondo quanto più a me vicino.
Nell’incontro letterario con Van Gogh, Jaspers manifesta di avere a cuore proprio il suo spiccato senso del mistero, la sua visione del mondo sempre anelante l’Infinito, i suoi interrogativi sul senso dell’esistenza, sull’amore, sulla religione, sull’arte. Interrogativi che ritornano ossessivamente nei momenti di maggiore crisi depressiva, ma che in realtà preesistono all’acuirsi della malattia. Scrive infatti Jaspers:
la profonda serietà dell’artista è comune a tutte le lettere, che siano scritte prima o durante la malattia. Queste lettere costituiscono nell’insieme il documento di una concezione del mondo, di un altissimo pensiero etico, espressione di una sincerità assoluta, di una fede profonda, di una carità infinita, di una generosa umanità, di un imperturbabile amor fati. È questa una delle testimonianze più commoventi della nostra epoca. Questo ethos esiste indipendentemente dalla psicosi, anzi, in essa si consolida.
Jaspers: Van Gogh e l’esperienza del limite
L’intera vita di Van Gogh è stata animata da ”qualcosa che bisogna chiamare fede”, un’inquietudine che lo ha condotto ad indagare il senso profondo dell’esistenza. Una disposizione d’animo, quella di Van Gogh, che nella sua riflessione Jaspers definisce come un’esperienza fondamentale o situazione-limite.
Morte, dolore, colpa sono situazioni che rivelano la finitezza dell’esistenza umana, la difficoltà di attingerne il significato che sfugge sempre oltre se stessa. Il carattere costitutivamente trascendente dell’esistenza è ciò che con straordinaria lucidità Van Gogh ha inteso e rappresentato costantemente nelle sue opere. I suoi quadri possono essere interpretati come una teologia visiva, profondamente animata da uno spirito religioso.
Nel 1888, così, Van Gogh scriveva:
E con un quadro vorrei poter esprimere qualcosa di commovente come una musica. Vorrei dipingere uomini e donne con un non so che di eterno, di cui un tempo era simbolo l’aureola, e che noi cerchiamo di rendere con lo stesso raggiare, con la vibrazione dei colori»
Genio e follia: l’arte e la patologia mentale
Azione umanitaria, religione, arte confluiscono così in un’unica aspirazione, diventano un problema intimo e vitale fin dagli anni giovanili.
La tesi di Jaspers è che la malattia mentale non abbia in alcun modo innestato in Van Gogh del talento, ma che lo abbia piuttosto rivelato:
La personalità, il talento preesistono alla malattia, ma non hanno la stessa potenza. In queste personalità la schizofrenia è la condizione, la causa possibile perché si disvelino queste profondità. […] Bisogna guardarsi da qualsiasi esagerazione. La schizofrenia non può essere creativa senza la conquista di una tecnica pittorica, senza una completa padronanza artistica come quella che Van Gogh acquisì in quasi dieci anni di lavoro, dopo essersi sforzato tutta la vita di arricchire le sue possibilità interiori.
Jaspers prova a ricostruire le principali tappe del processo morboso descritte da Van Gogh nella lunga corrispondenza col fratello Theo, avviata nel settembre del 1875 e conclusasi con la sua morte nel 1890.
Il primo radicale cambiamento nello stile e nel tono delle lettere è rintracciabile a partire dal 1885. Il pittore riferisce dei suoi primi disturbi fisici. Seguono lunghi periodi di stanchezza, irascibilità, angoscia, difficoltà di pensiero, alternati a brevi momenti di tranquillità. Il periodo più straordinariamente produttivo è legato al trasferimento dell’artista ad Arles, in Provenza. Qui il contatto con la natura e la luminosità dei campi di grano gli restituiscono lo slancio vitale.
L’incontro con Gauguin e il dramma della malattia
Ad Arles Van Gogh trascorre un breve periodo in compagnia di Gauguin. Quest’ultimo decide di ripartire prematuramente per l’impossibilità di una serena convivenza insieme. L’abbandono di Gauguin induce Van Gogh a mutilarsi un orecchio, per il forte senso di colpa nei confronti dell’amico.
Che Van Gogh soffrisse di un processo morboso è dunque indubbio, ma quale fosse la natura della sua patologia resta discutibile. Jaspers respinge la diagnosi di epilessia formulata dai medici che lo visitarono. La capacità di Van Gogh di dominare la sua malattia e di conservare una capacità di autocritica, di apprendimento e riflessione restano sconcertanti anche in un profilo schizofrenico.
In definitiva, Jaspers ritiene che in Van Gogh attività, vita, opere formino un’unità inscindibile che affonda le sue radici più profonde non nella patologia, ma nella ricchissima vita spirituale dell’autore.
La creazione artistica oscilla fra due poli: da una parte ci sono quelle opere rotonde, catafratte, che non rimandano all’esistenza dell’autore o ad altre opere, e la cui serena bellezza si gode, per così dire, fuori del tempo; dall’altra ci sono nella storia dell’arte occidentale opere che esprimono un’esistenza, che sono soluzioni parziali, passi su una via, cosa che non impedisce loro di essere formalmente compiute e perfette: è questo il caso di Van Gogh.
Martina Dell’Annunziata
Bibliografia
V. Van Gogh, Lettere a Theo, con Introduzione di K. Jaspers, Guanda Editore, 1993.