Un tempo, i cosiddetti cinecomics, film basati sui fumetti, erano davvero qualcosa di magico, basti pensare agli Spider-Man di un grande autore veterano specializzato nel genere horror come Sam Raimi (e i suoi lavori con La Casa e Drag me to Hell dimostrano abbondantemente la sua grande competenza e la sua indiscutibile tecnica registica), in cui il regista di Royal Oak si sbizzarrisce con dei piani sequenza destinati ad entrare nella storia del cinema con il nostro amichevole arrampicamuri di quartiere in CGI che svolazza con le sue ragnatele per i cieli di New York City.
Come non ricordare i vari film della saga degli X-Men diretti da Bryan Singer, molto più simili ad un film come 21 di Robert Luketic, basato sul romanzo The Blackjack Club dello scrittore Ben Mezrich, a sua volta basato sulla storia vera di un gruppo di ragazzi laureandi del Massachusetts Institute of Technology, esperti in matematica, che riuscirono ad inventarsi un sistema per sbancare ai tavoli di Blackjack di Las Vegas giocando a poker (sebbene il primo film con protagonisti i mutanti Marvel sia stato rilasciato nei cinema di tutto il mondo nel 2000, molto prima del film con Kevin Spacey sui genietti del MIT), il tutto però con i superpoteri, o i due bellissimi e meravigliosamente fotografati Hellboy ed Hellboy: The Golden Army di Guillermo del Toro tratti dai fumetti di Mike Mignola oppure serie tv come The IT Crowd, che parla proprio di ragazzi molto brillanti, tecnici informatici appassionati proprio di fumetti e di tutto ciò che circonda questo fantastico mondo.
Al giorno d’oggi invece, l’industria cinematografica, che come per il maiale non butta via nulla e saccheggia tutto il saccheggiabile, produce ormai film in serie basati sul fumetto del supereroe del momento, curandosi poche volte della qualità e molte di più della quantità, per battere cassa il più possibile, cercando di trasformare quei personaggi sempre di più in macchine stampa soldi.
Tant’è che il regista messicano Alejandro Gonzales Inàrritu, autore di film dalla tecnica eccezionale e con piani sequenza da manuale come Birdman – o l’imprevedibile virtù dell’ignoranza e The Revenant, ci è andato giù abbastanza duro con questo tipo di film, definendo i cinecomics come “genocidio culturale”.
Cinecomics prodotti in serie
Il problema sussiste quando ogni anno escono 4-5 film che ripercorrono le gesta di questo o quel supereroe, soprattutto se i suddetti film finiscono per diventare sempre di più la copia spesso malriuscita di se stessi.
A parte rari casi come nei due capitoli dei marveliani Guardiani della Galassia di James Gunn o la sorpresa Captain America: The Winter Soldier, action spy movie con sottotesti politici tutt’altro che banali diretto dalle nuove giovani promesse di Hollywood Joe ed Anthony Russo, registi di Cleveland ma il cui cognome tradisce chiaramente le loro origini abruzzesi, che si sono occupati del secondo e del terzo capitolo della trilogia dedicata alla Sentinella della Giustizia (con il terzo capitolo, Captain America: Civil War, che è riuscito ad incassare in totale più di un miliardo e 153 milioni di dollari in tutto il mondo, a fronte di un budget di 230 milioni).
Molte volte vengono riproposte sempre le stesse gag, puntando troppo spesso su una comicità infantile (ma mai volgare come certi cinepanettoni o commediole nostrane) per cercare di ingraziarsi un pubblico più ampio e di ragazzini. Per non parlare dei villain, i cattivi antagonisti di tali pellicole, che il più delle volte sono piatti e senza quasi alcuno spessore psicologico, che si parli di Marvel o di DC
L’ultimo film dell’universo DC Films, Justice League, ha fatto quasi rischiare alla Warner la perdita di 100 milioni del budget iniziale del film, anche a causa dello sviluppo molto travagliato che ha avuto la pellicola e dei numerosi tagli apportati insieme alle riprese aggiuntive fatte da Joss Whedon, il quale è subentrato proprio all’ultimo minuto e a riprese terminate al posto di Zack Snyder, a seguito del grave lutto familiare che ha colpito quest’ultimo con il suicidio della figlia Autumn.
Il lato umano nel cinema dei supereroi
Fatto sta, però, che se da un lato i cinecomics possono risultare noiosi e ripetitivi ad un pubblico più anziano ed esperto, dall’altro riescono molto spesso ad avvicinare anche un pubblico giovane al cinema, pubblico che poi successivamente magari andrà ad espandere la propria cultura cinematografica prima con film sempre di genere action, in cui però la figura del supereroe non è proprio centrale, per poi spaziare ad altri generi ed a pellicole un po’ più impegnate.
Lampante è l’esempio di Logan, pellicola del 2017 diretta da James Mangold ed ultimo capitolo fino ad ora della saga dei cinecomics dedicata agli X-Men, che vede protagonista un Wolverine molto più acciaccato ed anziano che in passato e con il fattore rigenerante sempre più debole, in cui spicca molto di più il suo lato umano. Importante è sottolineare che il film ha ricevuto la nomination agli Oscar 2018 per la miglior sceneggiatura non originale, un grande primato mai raggiunto prima dai cinecomics.
I cinecomics esistono praticamente dal 1894, da quando esiste il cinema, e sin dai tempi di Mickey Dugan, quello Yellow Kid creato da Richard F. Outcault che è stato praticamente il capostipite dei comics così come li conosciamo oggi, il cinema ha tratto ispirazione dalle opere cartacee con disegni e baloon. Si tratta di mitologia moderna, tant’è che capita che a volte vengano presi e reinterpretati personaggi appartenenti ad antichi miti, poemi epici greci e norreni.
Un esempio può essere Thor, antico dio norreno del tuono, che dosa il suo potere attraverso il suo martello Mjöllnir, il quale personaggio è stato appunto riadattato negli anni ’60 da Stan Lee, Larry Lieber e Jack Kirby e reso protagonista del fumetto omonimo, oppure Superman, ispirato palesemente tanto alla figura di Mosè, quanto a quella di Gesù Cristo. Oppure, tornando a parlare di Spider-Man, vera e propria bandiera della Casa delle Idee, esso può essere visto, con il suo continuo pensare e riflettere sul come uscire dalle più assurde situazioni ideate dal geniale sceneggiatore di turno, come una reinterpretazione contemporanea dell’Amleto shakespeariano.
Attualmente, i fratelli Russo sono al lavoro per rifinire il terzo capitolo della saga dei Vendicatori iniziata nel 2012 proprio da Joss Whedon con The Avengers e proseguita da lui medesimo nel 2015 con Avengers: Age of Ultron, Avengers: Infinity War, nelle sale ad aprile 2018.
Il film sarà la somma totale di tutto ciò che abbiamo visto al cinema fino ad ora in dieci anni di Marvel Studios a partire dal primo Iron Man di Jon Favreau del 2008, e vedrà proprio tutti gli eroi visti nei film precedenti riunirsi per combattere la minaccia comune di Thanos, il Titano Pazzo creato da Jim Starlin nel 1975 ed apparso per la prima volta in The Invincible Iron Man n. 55 vol. 1. Il nome del personaggio deriva da Tanato (o Thánatos), la personificazione della Morte nella mitologia greca. Egli è il più potente della specie degli Eterni.
E da ciò che si è visto nei primi due trailer rilasciati dalla Marvel, sembra proprio che il suo nome sia come non mai azzeccato e gli renda giustizia, dato che sembra essere il nemico più potente mai visto in un film Marvel. Provvisto del Guanto dell’Infinito, Thanos cercherà in tutti i modi di appropriarsi di tutte le Gemme dell’Infinito, che abbiamo imparato a conoscere bene al cinema nei vari film della saga e che rappresentano vari elementi del tempo e dello spazio (ad esempio la Gemma del Tempo, la Gemma della Mente e appunto la Gemma dello Spazio, cioè il Tesseracht del primo Avengers), per poterle incastonare nel Guanto ed avere così un potere incommensurabile. Che sia arrivata finalmente l’ora della rivincita per il cinefumetto?
Antonio Destino